Come spiegare il pericolo ai bambini
Non bisogna essere mamme ansiose per capire che i nostri figli sono esposti, ogni giorno, a diversi tipi di pericoli. Dalle scale di casa ai detersivi nel ripostiglio, dalle automobili che sfrecciano sulle strade al rischio di smarrirsi, se non addirittura di essere rapiti, molestati e discriminati. Una mamma, si sa, ha mille occhi ed è attenta a ogni possibile eventualità, ma quando i bambini crescono e intraprendono la strada dell’indipendenza e dell’autonomia, come insegnare loro a stare attenti a tutto ciò che potrebbe essere pericoloso?
Ecco qualche suggerimento.
I bambini e la concezione di pericolo
La ricercatrice e professoressa di psicologia e scienze neurologiche dell’Università di New York Karen Adolph ha condotto un esperimento sui bambini di età compresa tra i 6 e i 18 mesi, lasciandoli gattonare lungo pedane con diverse inclinazioni ed elementi pericolosi, come per esempio dei buchi.
Il risultato? I bambini che avevano affinato la tecnica, ovvero che riuscivano a muoversi gattonando con sicurezza, percepivano il pericolo, lo analizzavano e si comportavano di conseguenza, evitandolo. Una volta imparato a camminare, il pericolo veniva percepito come “nuovo”, quindi solo una volta affinata nuovamente la tecnica, il pericolo veniva affrontato adeguatamente.
Al contrario, i bambini “novelli gattonatori”, non possedevano ancora l’esperienza e le conoscenze necessarie per identificare il rischio.
Questo esperimento ci fa capire che i bambini comprendono l’entità dei pericoli che li circondano di pari passo con lo sviluppo motorio: più vengono lasciati liberi di sperimentare il rapporto tra il loro corpo e il resto dell’ambiente, più saranno in grado di comprendere il nesso tra azioni e conseguenze.
Questo non significa lasciarli incustoditi, ma semplicemente favorire l’esplorazione minimizzando, ma non eliminando del tutto, gli elementi di rischio. Così facendo, sarà più facile per i bambini agire consapevolmente sia in ambienti conosciuti, come le mura domestiche, che in ambiente sconosciuti, lasciando che siano loro stessi e le loro capacità cognitive a prevenire i rischi.
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I rimproveri funzionano?
Il bambino è sull’orlo di uno scalino, guarda incuriosito verso il basso, dondolandosi. Il suo equilibrio non è proprio perfetto, e oscilla avanti e indietro. La mamma, che anticipa mentalmente la caduta, il pianto e il bernoccolo, urla “Attento che ti fai male!“.
Ma è davvero necessario? Appurato che il miglior modo di prevenire i rischi sia quello di offrire al bambino più occasioni possibile per sperimentare il suo rapporto con l’ambiente circostante e consolidare le sue abilità motorie e cognitive, il consiglio degli esperti è quello di vigilare in modo attento ma distaccato, per esempio:
- Trasmettere sicurezza e tranquillità.
- Evitare di infondere apprensione e ansia.
- Rispettare l’autonomia del bambino, lasciando che sbagli, che inciampi, anche che si sbucci un ginocchio all’occorrenza.
- Essere sempre pronti a intervenire, ma esclusivamente in caso di reale necessità.
I rimproveri a posteriori, così come i castighi, non possono di certo prevenire i pericoli, mentre invece un dialogo, utilizzando parole e modi consoni all’età del bambino, circa le possibili conseguenze del suo comportamento può essere molto più efficace.
Questa strategia si può mettere in campo sin da subito per le prime sfide (“se guardi dove metti i piedi, vedrai che non inciamperai”), che via via nel corso della crescita, quando le situazioni potenzialmente dannose si fanno sempre più concrete.
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Come parlare ai bambini
Sembrerà un consiglio scontato, ma molte mamme sono ancora convinte del contrario. Già a 16/18 mesi i bambini sono perfettamente in grado di comprendere alcune nozioni, quindi non è assolutamente troppo presto per iniziare a spiegare e mostrare loro alcune regole di comportamento sicuro. Infatti, è stato dimostrato che alcuni aspetti istintivi, come quelli relativi alle emozioni, ai cinque sensi, al movimento e anche alla concezione del pericolo, si sviluppano appieno verso i 18 mesi. A quell’età, quindi, i bambini sono già in grado di associare una situazione di pericolo a un rischio per la loro incolumità e agire di conseguenza sfruttando tutte le abilità apprese fino a quel momento.
Un esempio? Già a 18 mesi si può spiegare, ponendosi al suo stesso livello visivo, che attraversare la strada senza tenere per mano il genitore può essere molto pericoloso. Le automobili potrebbero non frenare in tempo e ci si potrebbe fare molto male quindi, almeno per quel pezzo di strada, è importante tenersi per mano.
Ma come parlare ai bambini? Già negli anni ’50 il tema è stato affrontato da studiosi e psicologi. Ne è emerso che il metodo migliore per stabilire una connessione efficace con i più piccoli (in particolare in età prescolare, quindi nella fascia 0-5 anni) è quella di porsi al loro livello.
- Quando l’adulto si abbassa fisicamente per confrontarsi faccia a faccia con il bambino non solo è più facile comprendere ciò che viene detto, ma ne giova anche l’aspetto emotivo. Questa posizione trasmette al bambino tranquillità, calma e serenità, mentre l’adulto può più facilmente empatizzare con le sue emozioni attraverso il contatto visivo.
- Il metodo preventivo di tutti i pericoli più efficace è il dialogo pacato, sicuro, aperto e informato, ovvero parlare tranquillamente con i propri figli anche delle brutture del mondo, dei rischi, delle persone con cattive intenzioni. La conoscenza è l’arma migliore per identificare ciò che non si conosce ancora: so cosa ho davanti e so cosa fare.
- Andare nel panico, minacciare e punire non possono prevenire né è educativo, perché non permette al bambino di comprendere dove e cosa sta facendo di sbagliato.
- Quando si mettono in guardia i bambini dai pericoli, il timbro di voce dev’essere chiaro e “normale” (non stridulo, forzato o buffo), le parole comprensibili e pronunciate in modo corretto e vanno evitate metafore (specialmente prima dei 10/12 anni) e minacce: bisogna trasmettere fermezza, ma anche calma e tranquillità, spiegando in modo semplice ma non brutale che a ogni azione corrisponde una conseguenza, e che quest’ultima può essere molto spiacevole.
- Rispondere “perché no!” non aiuta a comprendere questo concetto di causa-effetto, vanificando l’avvertimento: alla domanda “perché non posso attraversare la strada da solo?”, rispondere “perché no!” non porta a nessuna conclusione. Spiegare in modo semplice ma conciso, invece, che ci si potrebbe fare molto male se una automobile inavvertitamente ci urtasse, fa sì che il bambino comprenda, interiorizzi e sia in grado di applicare l’insegnamento anche in futuro.
Dai 4/6 anni in poi, si può ricorrere a giochi, simboli, filastrocche, canzoni e cartoni animati che abbiano una morale pedagogica.
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Pericolo rapimenti e molestie: attenzione agli estranei
Troppo spesso i fatti di cronaca riportano vicende tragiche: chi non ricorda il triste e irrisolto caso di Denise Pipitone, la bimba scomparsa nel nulla nel 2004, o più recentemente il tentato furto di una neonata da una struttura ospedaliera di Milano? Purtroppo i casi di rapimenti, molestie e violenze sui più piccoli non sono pochi. Ma come educare i nostri figli a fare attenzione alle persone estranee?
Per quanto riguarda il rapporto con gli sconosciuti, non è certamente facile destreggiarsi nelle varie situazioni che possono presentarsi. Se da una parte il bambino non dovrebbe mai dare confidenza a chi non conosce, dall’altra è pur vero che in una situazione di pericolo un adulto con buone intenzioni può essere fondamentale.
Si pensi a due casi opposti: uno, in cui un malintenzionato cerca di stringere amicizia con nostro figlio, come è successo nell’esperimento sociale in cui un ragazzo attirava i più piccoli con un cucciolo di cane da coccolare; l’altro, in cui nostro figlio si perde e grazie all’aiuto di un adulto riesce a ritrovare la strada di casa o contattarci. È evidente, quindi, che non sempre si può fare affidamento sulla capacità di discernimento dei più piccoli, ancora ingenui.
- Una regola generale è quella di insegnare ai bambini i numeri di telefono da chiamare in caso di emergenza o la via di casa, oltre naturalmente al loro nome e cognome.
- Inoltre, è importante educare a distinguere, per quanto possibile, le diverse situazioni, cercare di comprendere le intenzioni di chi hanno di fronte, seguire il loro istinto, non isolarsi rispetto al gruppo.
- È importantissimo individuare le persone di cui possono fidarsi. Possono essere le cassiere del supermercato, il titolare del negozio, il vigile urbano, il barista: persone che, con ogni probabilità, avranno la prontezza, i mezzi e il buon senso di aiutare.
Per quanto riguarda le molestie, invece, una precisazione è doverosa: la maggior parte dei casi di abusi su minori vengono perpetrati da membri della famiglia o comunque da persone conosciute. Il pericolo, quindi, non necessariamente viene da fuori, quindi è bene prestare attenzione ai diversi segnali che mandano le piccole vittime (per approfondire: Violenza sui bambini: 10 segnali da non sottovalutare). In ogni caso, un metodo che gli esperti consigliano al fine di prevenire e/o bloccare tentativi di violenza sui minori è quello di insegnare loro fin da subito i nomi dei genitali e, appena possibile e ovviamente con le parole giuste, l’educazione sessuale. In questo modo si evita una percezione negativa del proprio corpo e inutili tabù: se i bambini conoscono il proprio corpo e i limiti nei rapporti interpersonali, capiscono autonomamente chi sta violando la loro intimità e riescono a chiedere aiuto in modo specifico ed efficace.
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Le minacce del web
I nostri figli sono nativi digitali, ovvero sono nati nell’era di internet. Un rapporto a stretto contatto con la tecnologia è inevitabile e, benché ci siano dei lati positivi di questo rapporto privilegiato e naturale, ce ne sono altri negativi.
Tralasciando il dibattito sull’effettiva utilità di un approccio prematuro alla tecnologia, bisogna considerare i pericoli che provengono dalla rete. Non sono pochi i casi di adescamento di minori o violazioni della loro privacy: i pericoli del web per i bambini, infatti, non comprendono solo la richiesta e lo scambio di materiale pedopornografico, ma anche la condivisione di informazioni e dati personali e cyberbullismo.
Ma come rendere l’esperienza digitale sicura per i più piccoli?
- Innanzitutto, come sempre, parlare. Un dialogo aperto e onesto, un confronto senza tabù sui rischi di internet, sui comportamenti da tenere e da evitare e sulle possibili conseguenze.
- Il consiglio degli esperti è quello di spiegare ai più giovani che quello che viene messo online resta online ed è davvero difficile rimuoverlo. Un metodo efficace può essere quello di chiedere: quello che stai per scrivere/condividere online, lo diresti ad alta voce guardando in faccia l’altra persona? Se la risposta è no, non bisognerebbe farlo nemmeno online.
Ciò non toglie che l’accesso al web può essere comunque parzialmente controllato tramite programmi di Parental Web Control, che impostano dei filtri in modo da oscurare contenuti che i genitori ritengono inappropriati. - Gli esperti inoltre consigliano un approccio inclusivo: condividere gli interessi dei propri figli, interessarsi alle loro passioni e a tutto ciò che li entusiasma non contribuisce soltanto a consolidare un rapporto di fiducia in cui saranno incoraggiati ad aprirsi con noi, ma anche a monitorare e prevenire possibili rischi.
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Come spiegare il coronavirus e le calamità naturali ai bambini
Il 2020 sarà indubbiamente ricordato per un avvenimento: la pandemia mondiale. Gli esperti confermano che probabilmente questa è stata una “prova generale” per le calamità che saremo costretti ad affrontare in futuro. In ogni caso, sia per dare una risposta sul passato che per essere preparati al futuro, l’Unicef ha diffuso alcuni consigli per i genitori che si trovano a confrontarsi con i figli sul tema covid-19, oltre che su possibili calamità naturali, come terremoti e incendi:
- Invitare i bambini a parlare e a esporre quanto sanno.
- Non minimizzare le loro preoccupazioni né spaventarli amplificandole.
- Guidarli con le giuste informazioni, fornendo una spiegazione semplice ma esaustiva e utilizzando le parole adatte alla loro età.
- Rispondere alle loro domande in modo pacato, comprensibile e accogliente.
- Mostrarsi sensibili verso le loro emozioni e preoccupazioni.
Vale la pena ribadire un concetto già noto: la conoscenza permette di mantenere la calma e non farsi prendere dal panico.
Nel caso di terremoti, per esempio, la Protezione Civile consiglia di preparare i bambini anche attraverso il gioco, riparandosi sotto i tavoli, allontanandosi dagli oggetti che potrebbero cadere, scendendo le scale tenendo una mano sul muro e così via. In questo modo, in caso di necessità, il bambino saprà cosa fare e sarà meno probabile che il panico prenda il sopravvento.
Inoltre, il sito internet del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco contiene alcuni giochi e spunti interessanti da fare insieme ai bambini per far comprendere loro l’importanza di giocare in sicurezza, chi chiamare e come comportarsi in caso di incendio a casa e a scuola.
Quindi, che si parli di coronavirus, terremoti, incendi o di altre calamità, l’arma più efficace per preparare i bambini ad affrontare pericoli sconosciuti è quella di metterli al corrente della loro esistenza, senza infondere panico, ma all’interno di un dialogo in cui possano trovare tutte le risposte e la rassicurazione che cercano.
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Iperprottetività: i danni sui bambini
I pericoli sono certamente molti, ma cercare di proteggere i nostri figli da qualsiasi piccolo imprevisto è altrettanto dannoso.
Secondo alcuni studi, fornire ambienti e situazioni in cui non c’è assolutamente nessun elemento di rischio scatenerebbe l’effetto opposto: non appena il bambino uscirà da questo ambiente protetto incontrerà molte difficoltà a relazionarsi con esso senza farsi male. Per proteggerli troppo, rischiamo di limitarli e danneggiarli.
Ogni cucciolo di mammifero si “esercita alla vita” attraverso il gioco e i rischi ad esso collegati sono una parte fondamentale dell’evoluzione e dello sviluppo sia fisico che mentale. Per questo motivo i bambini vanno incoraggiati e guidati, trasmettendo fiducia e sicurezza nelle loro capacità, e lasciati liberi di giocare all’aperto.
Le esperienze sensoriali che offre la natura sono infinitamente superiori rispetto a quelle che si possono ricreare artificialmente e non solo: permettono al bambino di sviluppare la sua fantasia e creatività, oltre alle competenze motorie e cognitive.
Al contrario, ambienti asettici e standardizzati impoveriscono gli stimoli e possono addirittura rallentare lo sviluppo. Cercare di proteggerli ad ogni costo può infatti limitare e frenare stimoli importantissimi per la loro crescita, impoverendo la gamma di competenze e la confidenza in se stessi.
Inoltre, continue raccomandazioni superflue (“non correre”, “copriti”, “non sudare”…) generano un senso di preoccupazione e ansia costante, che solitamente diventa parte integrante del carattere adulto sotto forma di insicurezza.
Allora come conciliare i benefici con i rischi della libertà?
- Intervenendo solo dove e quando realmente necessario.
- Lasciando che i bambini abbiamo un’esperienza diretta delle conseguenze dei rischi che corrono, ovviamente sempre nei limiti del buon senso, ovvero evitando situazioni di reale e alto pericolo.
Quando insegniamo ai nostri figli ad avere fiducia in loro stessi e nelle loro sensazioni, a mantenere a calma in situazioni di pericolo e a saperle riconoscere, a comprendere le conseguenze delle loro azioni, in realtà stiamo insegnando loro come vivere appieno la loro vita.
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