L’Istituto superiore di Sanità si è visto costretto negli ultimi tempi a rivedere le linee guida relative alle indicazioni cliniche al taglio cesareo. L’abuso di questa pratica chirurgica, infatti, ha trasformato l’intervento in una modalità alternativa di parto, talvolta scelta dalla donna o suggerita dal ginecologo stesso senza alcuna indicazione clinica.
In Italia si conta il più alto numero di tagli cesarei di tutta Europa. In testa ci sono le regioni del Sud, prima fra tutte la Campania con il 60% di interventi. Il fatto che in Nazioni come la Germania, l’Inghilterra e la Francia non si ricorra così spesso al taglio cesareo fa supporre che in Italia ci sia una inapproppriatezza assistenziale nei punti nascita che ha portato ad una eccessiva medicalizzazione del parto.
C’è anche una moda sociale che induce a credere che il taglio cesareo sia meno doloroso, più pratico, meno rischioso e una tendenza a inculcare nelle donne la fobia del parto, perpetuando con un certo sadismo i racconti di parti spontanei andati relativamente male. La verità è che tutte le modalità di parto hanno un loro rischio associato e la cosa più giusta e vantaggiosa da fare per la salute è una scelta accurata di questa modalità basata sul calcolo di tale rischio, in base alle condizioni cliniche della donna e alle capacità assistenziali dell’operatore.
C’è da ricordare che in assenza di controindicazioni specifiche, il parto naturale è sempre da preferire per il benessere della madre e del bambino. Ma è altrettanto vero che l’ottimale riuscita di un parto naturale necessita di personale altamente qualificato all’assistenza, al riconoscimento delle complicanze e alla loro gestione.
Questo non vuol dire che un taglio cesareo sia più facile da eseguire, ma semplicemente che negli anni i ginecologi Italiani hanno forse acquisito una maggiore dimestichezza per questo tipo di intervento piuttosto che per altre pratiche mediche che potrebbero evitare il cesareo, come una corretta applicazione di ventosa e forcipe o le manovre di rivolgimento in caso di posizioni podaliche.
Tuttavia questo non è eticamente corretto e grava notevolmente sulle spese del Sistema Sanitario Nazionale e indirettamente quindi anche sulle nostre tasche. Oltre che privare la donne di una esperienza che nella sua naturalità è completa, perfetta e unica. Il travaglio e il parto hanno dei tempi lunghi perché il corpo della madre e del bambino si preparino al meglio all’evento, attraverso la giusta secrezioni di ormoni stimolati dalle contrazioni uterine. E tutta questa fase preparatoria viene inevitabilmente a mancare in un taglio cesareo programmato.
Senza contare la ripresa post-operatoria, decisamente più lenta nelle donne cesarizzate e con tempi di ricovero più lunghi. Le linee guida dell’I.s.s. hanno perciò ristretto le indicazioni al taglio cesareo a 4 evenienze:
-macrosomia fetale con peso oltre i 4.400 gr
-infezioni materne come H.I.V. e H.C.V con rischio di contagio fetale nel canela del parto –placenta previa che occlude il canela del parto
–anomalie di posizione fetale che sussistono anche a seguito di manovre di rivolgimento
In tutte le altre condizioni cliniche l’unico modo che le donne hanno di tutelarsi da interventi chirurgici inutili è chiedere dettagliatamente spiegazioni all’atto della firma del consenso informato, sulle reali necessità di un taglio cesareo programmato, e sul rapporto rischio-beneficio.