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Morte fetale intrauterina: cause, sintomi e prevenzione

La morte fetale in utero è una tragica conclusione di 4-12 gravidanze su 1000. Si parla di M.I.F., morte intrauterina fetale, quando la gravidanza supera le 22 settimane, precedentemente si parla invece di aborto spontaneo. Nel caso in cui la datazione della gravidanza sia sconosciuta ci si attiene al peso fetale: uguale o superiore a 500 gr si parla di morte in utero. Tra le possibili cause la principale responsabile è l’asfissia, proprio per l’impossibilità di prevenirla completamente.

Quando la gravidanza è complicata da patologie materne o fetali c’è un maggior rischio di morte fetale, per tale motivo anche un maggiore controllo. Le situazioni più a rischio sono:

  • Placenta previa centrale o distacco di placenta
  • Anomalie e malfunzionamenti placentari
  • Sindrome da trasfusione feto-fetale nella gravidanza gemellare
  • Preeclampsia-eclampsia
  • Diabete
  • Nefropatie
  • Patologie congenite del feto
  • Isoimmunizzazione da fattore Rh
  • Infezioni
  • Nodi veri
  • Nel 25,35% dei casi, tuttavia, le cause della morte rimangono sconosciute. Rappresentano fattori di rischio associabili anche il fumo, l’uso di sostanza stupefacenti e di alcol, la gravidanza multipla, il sesso maschile, il ritardo di crescita intrauterina e le precedenti morti intrauterine.

    Tra i sintomi che potrebbero preannunciare una morte intrauterina ci può essere una riduzione dei movimenti attivi fetali e segni clinici come anomalie al tracciato cardiotocografico e alla flussimetria. Ma restano numerosi i casi in cui la morte è silente, causata da asfissia improvvisa che non aveva precedentemente dato alcun sintomo.

    La prevenzione di questa sventura mira perciò all’eliminazione dei fattori di rischio laddove siano conosciuti. Per quanto riguarda i casi di asfissia nei feti sani l’unica forma di prevenzione che la mamma può attuare, a parte uno stile di vita sano, è la posizione di sicurezza in cui dormire la notte. Una diminuzione dei movimenti fetali deve sempre allertare e indurre a raggiungere il pronto soccorso più vicino.

    In caso di morte fetale accertata, a seconda delle settimane, verrà indotto il parto o la donna può scegliere il taglio cesareo, anche se al di sotto delle 24 settimane è piuttosto rischioso. Allo stesso modo potrà scegliere se vedere o meno il bambino e se praticare un’autopsia per accertare le cause della morte.

    Molti genitori affrontano questo lutto canalizzando il dolore nella rabbia per l’ingiustizia subita e spesso sentono il bisogno di attribuirne la colpa a qualcuno, cominciando azioni legali lunghe e massacranti che riaprono per anni la stesse ferite.

    Salvo rari casi di gravi incompetenze, i ginecologi che prendono a seguire una gravidanza seguono sempre dei protocolli. I protocolli sono modi standardizzati di procedere nelle diagnosi e nelle decisioni mediche, che servono a tutelare i pazienti e i professionisti dalle scelte errate e arbitrarie, che potrebbero configurare delle responsabilità medico-legali in questi casi. Quindi, per dimostrare che ci sia una colpa da parte del medico, questi avrebbe dovuto non rispettare i protocolli, cosa piuttosto inusuale e che legalmente configura il reato di negligenza, imprudenza o imperizia.

    Quindi, prima di cominciare battaglie contro i mulini a vento, la cosa migliore da fare in questi casi sarebbe innanzitutto non sottovalutare il trauma subito e consultare dei professionisti che ci aiutino a superare la perdita di un figlio, per tutela la propria salute mentale e ritrovare la forza di andare avanti.