Figlicidio: un episodio spiacevole ancora difficile da capire e soprattutto da accettare, nonostante abbia origini antichissime. In una società strutturata ed evoluta come la nostra, infatti, sentir raccontare di un genitore che toglie la vita al proprio figlio suscita orrore e disagio.
Ma perché, al giorno d’oggi, sentiamo ancora parlare di infanticidio e di figlicidio?
Che cosa scatta nella testa di una persona per far sì che arrivi a commettere un’atrocità del genere?
È possibile riuscire a prevenire il gesto accorgendosi dello stato mentale del genitore o della persona che sta a contatto con il bambino?
In che modo possiamo aiutare?
In questo articolo andremo a rispondere a tutte le nostre domande.
Secondo una statistica, il fenomeno del figlicidio riguarda all’incirca 5 bambini ogni 100 mila. Un numero mediamente basso in realtà, che però riesce a portare ogni volta indignazione e vergogna nell’animo delle persone. Questo accade perché, nell’immaginario collettivo, i bambini sono legati alla purezza e all’innocenza; nella mente di una persona che ha pieno possesso delle sue facoltà mentali, quindi, non è pensabile poter recare loro del male. Ma quali sono le motivazioni che portano a commettere un gesto così estremo? Vediamole insieme.
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Spesso ci si chiede se l’infanticidio possa essere evitato e/o previsto in qualche modo. Vediamo quindi che cosa è bene osservare per evitare che venga compiuto il gesto folle.
A proposito della droga e delle sostanze stupefacenti, non si può non ricordare la vicenda accaduta ad un bimbo affetto da una rarissima malattia neuromuscolare degenerativa.
Il padre infatti ha deciso di servirsi di tutti i risparmi destinati alle cure del piccolo per divertirsi con fiumi di alcol, droghe e prostitute.
Fortunatamente l’uomo è stato rintracciato e arrestato, la madre ha confessato che non avrebbe mai immaginato che il marito conducesse una seconda vita.
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Non sempre, però, a commettere l’omicidio è uno dei due genitori. Non sono rari i casi in cui abbiamo assistito a storie in cui un parente o un/a babysitter abbiano commesso il gesto estremo.
Ricordiamo con grande rammarico la storia di due nonni in Russia che, sotto l’effetto di alcol, gettarono nel fuoco il loro nipotino di soli 11 mesi perché “piangeva troppo e volevano farlo smettere“.
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Secondo una statistica ad uccidere sono perlopiù le madri, (circa il 49%) mentre il restante viene suddiviso tra padri e patrigni.
Se le donne uccidono soprattutto a causa della grande depressione di cui soffrono o per uno stato psicologico disturbato, gli uomini invece spesso commettono il folle gesto per queste 2 grandi ragioni:
Tra gli sconvolgenti casi che hanno segnato il nostro paese ricordiamo, ad esempio, il delitto del piccolo Samuele da parte di sua madre Anna Maria Franzoni, condannata a 6 anni di carcere e a 5 di detenzione domiciliare, e il più recente omicidio del piccolo Loris, ucciso dalla mamma Veronica Panarello e condannata a 30 anni di carcere.
Tuttavia, esistono anche dei casi in cui la piccola vittima è riuscita a salvarsi. Citiamo con enorme gioia la storia di una bimba indiana nata prematura e sepolta viva all’interno di una pentola di terracotta.
Fortunatamente è stata ritrovata da un pastore della zona che l’ha prontamente salvata e portata in ospedale. Nonostante le condizioni critiche in cui riversava la piccolina, ora sta bene ed è pronta per essere adottata e, sopratutto, amata.
Certo, non è semplice prevedere casi di figlicidio e infanticidio e, per fortuna, sono casi che accadono raramente, ma se siete a conoscenza di soggetti che pensate soffrano di qualche sintomo elencato nei vari punti sopra, o se pensate di averne voi stesse, rendetevi disponibili, aiutate e fatevi aiutare! A volte, l’aiuto di una persona cara può essere indispensabile per stare meglio.
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