Come ho rassicurato mio figlio sui suoi compagni di scuola musulmani. Teniamo i bimbi alla larga dal razzismo

Il razzismo spiegato ai bambini

Il razzismo è una delle piaghe della nostra società ed è un atteggiamento che non dovrebbe mai essere adottato dagli adulti, né insegnato ai bambini.
Al di là di come la si pensi politicamente, occorrerebbe sempre rispettare gli esseri umani in quanto tali, senza distinzioni di alcun tipo.
Come recita l’art. 3 della Costituzione Italiana:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Ma come fare ad abituare i bambini a non fare differenze?
Come fare in modo che un compagno di classe musulmano non generi nei nostri figli la paura degli attentati?

Vediamo insieme tanti esempi che ci fanno capire perché è importante tenere i bambini lontani dal razzismo.

Come ho rassicurato mio figlio sui suoi compagni di scuola musulmani

Nonostante avessi già cercato di spiegare a mio figlio il terrorismo dell’ISIS, ha cominciato a farmi delle domande anche su due dei suoi compagni di scuola materna di origine musulmana Naadir e Aisha.
Allora ho schiarito la voce e, cercando di superare i primi attimi di esitazione e imbarazzo, ricorrendo ai miei studi antropologici e alle informazioni che avevo acquisto nell’eventualità che mio figlio sentisse la necessità di essere rassicurato, ho cominciato parlandogli della cultura dei suoi due compagni, i fratellini arabi, che talvolta si comportano in modo “un po’ strano”.
Ho imitato il loro “buffo modo di esprimersi” quando parlano tra di loro, non per deriderli, ma per rendere l’argomento meno pesante e noioso. Abbiamo parlato del modo originale di vestire della loro mamma e del fatto che a pranzo mangiano, a volte, pietanze differenti. Poi mi è venuta un’idea e ho detto:

Gnomo, perché non chiedi a Naadir e Aisha se hanno voglia di insegnarti un gioco che hanno imparato dai loro genitori e fratelli? Imparalo bene, poi oggi pomeriggio, quando tornerai a casa, ci giocheremo insieme.

Come speravo, quel pomeriggio mio figlio è tornato a casa molto contento di aver imparato un gioco nuovo: l’Hajla. Si tratta di un gioco di origine palestinese simile al gioco della Campana.

  • È un gioco da fare all’aperto, servono un piccolo spiazzo sul quale disegnare con un gesso un rettangolo suddiviso in 8 spazi uguali.
  • Nel settimo spazio si deve disegnare una croce, che significa che quel rettangolo non deve essere calpestato. Il gioco consiste nel lanciare, saltellando su un piede solo, una pietra da un rettangolo all’altro, dal primo fino al terzo.
  • Al quarto i giocatori possono fermarsi e poggiare entrambi i piedi a terra, poi si continua lanciando la pietra, e procedendo di nuovo con un solo piede, prima al quinto, poi al sesto spazio.
  • La parte più difficile riguarda la settima casella che non deve essere attraversata ma saltata interamente e, contemporaneamente, con un unico movimento, la pietra deve essere lanciata direttamente all’ottava e ultima casella.

Il gioco della campana è conosciuto e giocato dai bambini di quasi tutto il mondo. In ogni paese viene chiamato con nomi differenti e può avere regole di poco dissimili, ma lo svolgimento e il fine ultimo del gioco (attraversare lo schema senza perdere l’equilibrio e senza calpestare con i piedi le linee di divisione tra le caselle) è lo stesso.

Conosciamo già l‘importanza del gioco nell’infanzia, in questo caso per mio figlio ha rappresentato anche un ottimo strumento di socializzazione, un espediente che gli ha permesso di affrontare il tema della diversità, in termini di confronto ed arricchimento reciproco.
Credo che stimolare i bambini a interagire con i loro coetanei, soprattutto se stranieri, cercando di non influenzarli con pregiudizi, sia il modo migliore per far capire loro che ogni forma di razzismo è sbagliata e improduttiva.
Viviamo in una società multietnica, valorizzare le differenze e condividere i valori propri di tutte le etnie, è l’unica chiave per il confronto e la convivenza pacifica fra i popoli.

hajla

Leggi anche: Come spiegare il pericolo al bambini: dalla strada alle calamità naturali

Episodi di razzismo: come comportarsi con i bambini

Il razzismo è ciò che trasforma le differenze in disuguaglianze.

Così scrive Tahar Ben Jelloun nel libro “Il razzismo spiegato a mia figlia” ed è una frase tristemente vera. Sono sempre più, infatti, gli episodi di razzismo che hanno come fine ultimo il condurci a odiarci a vicenda.
Vediamo insieme qualche episodio di razzismo che ha coinvolto i ragazzi, fornendo loro un pessimo insegnamento.

Londra polemica: scuola distingue tra studenti italiani, siciliani e napoletani

Fece scalpore, nel 2016, la notizia delle scuole di Londra che, al momento dell’iscrizione online, chiedevano, per i provenienti dall’Italia, di specificare se fossero:

  • Italiani;
  • Napoletani;
  • Siciliani.

Una notizia che sconvolse i genitori italiani e che suscitò un fiume di polemiche nei confronti dell’istruzione inglese che, dal canto suo, giustificò l’idea avuta come un sondaggio voluto per evitare discriminazioni e assolutamente non volto a negare l’istruzione anche a chi fosse di un’etnia diversa.

Nel momento in cui il Regno Unito è uscito dall’Europa si è temuto molto per le sorte di studenti Erasmus e lavoratori italiani presenti nel territorio, per il trattamento e i diritti riservati loro, ma di certo non si pensava si potesse arrivare mai a una proposta del genere.

foto_scuola

Le regalano una bambola nera e la bambina scoppia a piangere

Ha avuto un boom di visualizzazioni su Twitter un video del 2019 che mostra una bimba che piange appena vede il proprio regalo di Natale: una bambola dalla pelle nera!
Nel video si vede la bambina che scarta il regalo e, quando si accorge che la bambola è nera, urla, la getta via e scoppia a piangere, tra le risate generali dei parenti!

Il video ha avuto milioni di visualizzazioni, accompagnate da innumerevoli critiche che hanno spinto chi lo aveva diffuso a cancellarlo e a rimuovere il proprio account Twitter.
Un utente ha, però, individuato i profili social dei parenti e li ha diffusi.
La sorella della bimba ha tentato di giustificare il gesto al quotidiano inglese Sun, chiarendo che non ci fosse nulla di razzista. Ha detto che si trattava semplicemente di un regalo sbagliato perché chi le ha regalato la bambola non sapeva che la bambina non le amasse. Secondo lei, quindi sua sorella ha avuto quella reazione perché spaventata dalla bambola, non dal colore della pelle!

Ecco il video che ha fatto tanto discutere!

“A scuola mi chiamano cacca perché sono scura”

Queste le parole di una bimba di soli 3 anni che, nel 2018, raccontò di essere vittima di razzismo a causa del colore della pelle. La mamma della bimba, infatti, è di origine ghanese, perciò la bimba ha la pelle nera.

Il papà della piccola, Vito Castiglione, pubblicò un video su Facebook, poi rimosso, nel quale la bimba raccontava l’accaduto.

A scuola mi chiamano “cacca” perché sono marrone.

raccontava la piccola, dicendo come tutti la prendessero in giro tranne un unico compagno, Antonio, che le diceva che era bella.

Non voglio bene ai bimbi perché mi dicono “cacca”. Io non li voglio.

La bimba, capelli ricci e occhioni dolci, nel video chiacchiera con il papà in macchina. La piccola si chiede perché sia nera.

Perché io sono nata tutta scura? Vorrei essere bianca come Antonio.

dice la piccola, ma poi il papà le ricorda che è bellissima anche così, “marrone”.

Mai avrei voluto pubblicare un video del genere, ma da padre ho il dovere di farlo. Sia chiaro non è un accusa ai bambini nominati non hanno colpe, è un modo per far capire agli adulti il male che possiamo causare con la nostra superficialità! Il razzismo si combatte a questa età… Magari le parole di una bambina di 3 anni hanno un altro peso! Educhiamo i nostri figli all’uguaglianza e facciamogli capire che il mondo è bello proprio per la varietà di colori e la diversità! Sensibilizzare le persone è il regalo più grande che posso fare a mia figlia. NO AL RAZZISMO!!!!!!

ha scritto il dolcissimo papà su Facebook, sopra il video pubblicato. Tanti i messaggi di solidarietà arrivati all’uomo, tante anche le condivisioni delle toccanti parole della bimba.

vito castiglione figlia

Peppa Pig censurata per non offendere ebrei e musulmani

Nel 2015 fece molto discutere la decisione della Oxford University Press, uno dei principali editori di libri scolastici nel Regno Unito che emanò le nuove linee guida per i propri autori.

L’importante casa editrice, i cui testi scolastici e libri educativi sono venduti in circa 200 Paesi del mondo, vietò espressamente le illustrazioni dei suini e derivati di carne (in pratica le salsicce) per non urtare studenti e giovani lettori di fede musulmana o ebraica. Nessun divieto specifico per la maialina della fortunata serie televisiva Peppa Pig, però il pensiero andò direttamente a lei, anche considerandone la diffusione…planetaria.

La famiglia Pig

Leggi anche: Bambini e scuola: dal rapporto con gli insegnanti al rientro in classe al tempo del Covid-19

La questione migranti

Da anni, ormai, l’immigrazione clandestina è un argomento che monopolizza i Tg italiani e trova opinioni differenti nei vari partiti politici.
A prescindere dal torto o dalla ragione, però, visto che ognuno ha delle proprie valide motivazioni, è solo una la cosa sulla quale dovremmo riflettere.
Queste persone partono dal proprio Paese con la speranza di un futuro migliore. Sperano di trovare una casa, un piatto caldo, un futuro. Affrontano un viaggio lungo in mare, senza sapere se arriveranno mai a destinazione. Lasciano tutto quello che fino a quel momento è stata la loro quotidianità per fame, per guerre, per mancanza di possibilità, e affrontano un viaggio lungo, pericoloso e incerto, per sperare in un futuro migliore.
Sono persone come noi, sfruttate da un sistema che fa acqua da tutte le parti, da organizzazioni che guadagnano sulla loro pelle, da Paesi che li accolgono per sfruttarli e farli diventare manodopera della criminalità organizzata.
Vediamo insieme qualche episodio che negli scorsi anni ha affrontato la delicata questione che, purtroppo, non accenna a migliorare.

Nauru, detenuti 119 bambini migranti in condizioni disumane: l’appello

Ha tenuto il mondo in ansia per mesi, nel 2018, la questione dei bambini detenuti con forza e in condizioni disumane nella piccolissima isola di Nauru, nello stato dell’Oceania. Il motivo? Essere dei migranti.
La situazione di forte emergenza fu denunciata direttamente dall’opposizione australiana, che si scagliò in particolar modo contro un senatore reo di aver usato l’espressione “soluzione finale” in merito alla questione migranti.

Gli australiani non sono definiti dalla razza o dalla religione, ma dalla condivisione dei valori della libertà, della democrazia e della legge

dichiarò il premier Malcom Turnbull, nel ribadire la condanna al razzismo.
Il governo di Canberra, capitale dell’Australia, aveva iniziato da tempo a trasferire richiedenti asilo e rifugiati nella piccolissima isola di Nauru dopo la riapertura del centro di detenzione, tornato attivo dal 2012.
Nonostante il governo si difendesse, dicendo che i bambini non erano più detenuti, il caso fece discutere e rabbrividire l’opinione pubblica. In molti parlarono di violazione dei diritti umani per le pessime condizioni di salute e i trattamenti a cui erano sottoposti tantissimi minori, che non potevano lasciare l’isola.

Molti di loro hanno vissuto per anni in tendopoli, sono stati separati da familiari stretti e non hanno un posto sicuro dove giocare o accedere a cure mediche accettabili.

dichiarò l’amministratore delegato di World Vision Australia, Claire Rogers.
Sui social spopolò l’hashtag #KidsOffNauru (“Via i bambini da Nauru”), volto a sensibilizzare l’opinione pubblica sul delicato tema.
Da allora, in Australia, migliaia di richiedenti asilo sono stati rinchiusi in centri lontani dalla terraferma, in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato. Ancora oggi si contano circa 1.450 persone tenute prigioniere, molto spesso per anni.

foto_bambini_nauru

Trump nega i vaccini ai migranti dal Messico: l’allarme dell’OIM

Nel 2019 gli Stati Uniti d’America hanno deciso di non fornire più vaccini antinfluenzali ai bambini delle famiglie migranti ospitate nei campi di accoglienza al confine tra Usa e Messico.

La decisione è stata presa dal Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump, che si è sempre apertamente dichiarato contrario all’arrivo dei migranti, tanto da progettare la costruzione di un muro al confine tra i due Stati.

Nei centri che ospitano i migranti, che si trovano lì in attesa che la loro richiesta d’asilo venga processata, sono morte molte persone, anche bambini, a causa di infezioni non controllate. I medici avevano, a tal proposito, chiesto di aumentare l’impegno e lo sforzo per evitare la diffusione di troppe infezioni, dovute al sovraffollamento.

La richiesta non è stata ascoltata dal governo Trump, che ha deciso di bloccare la fornitura di vaccini ai migranti.

trump messico

Francia, tunisino salva 2 bambini ma viene espulso dal Paese

Due gesti eroici quelli di Aymen e Mamoudou, che in Francia hanno salvato rispettivamente due e un bambino, a tre anni di distanza.

  • Era il 2015 quando Aymen ha salvato due fratellini di 4 anni e 19 mesi. Il ragazzo tunisino era in un bar di Fosses, vicino Parigi, con il cugino. Ad un certo punto ha sentito una donna urlare: dalla sua casa usciva del fumo. Aymen e suo cugino hanno fatto irruzione in casa, rompendo la porta e salvando due bambini, Leon di 4 anni e Adam di 19 mesi. Nessuno ha ripreso la scena.
  • Era il 2018 quando Mamoudou Gassama ha salvato un bambino. Il ragazzo ha scalato a mani nude il palazzo di quattro piani per salvare quel bambino. Il tutto è stato ripreso da un telefonino di un passante, che ha fatto circolare il video sui social, arrivato fino a Macron.

Due gesti bellissimi ed entrambi eroici, ma trattati in maniera completamente diversa.

Se Mamoudou è stato convocato da Macron, che lo ha ricevuto all’Eliseo e gli ha fatto i complimenti, promettendogli i documenti francesi, lo stesso non è stato per Aymen.

La burocrazia ha fatto il suo corso ma Aymen non ha ottenuto la cittadinanza francese in quanto nessun video dimostrava il suo gesto eroico, nonostante la mamma del bambino avesse raccontato con quanta forza il ragazzo si fosse gettato tra le fiamme per salvare i suoi figli.

Bambini scattano un selfie con una pantofola: quando sono i bambini a insegnare

Una foto simpatica, con cinque bambini in posa per fare un selfie, ha scatenato, nel 2019, la reazione del web. Un’immagine allegra e commuovente nello stesso tempo, scattata in un luogo ancora ignoto dell’India, ha aperto il dibattito sui social, muovendo l’opinione pubblica.
I cinque bambini indiani protagonisti dello scatto hanno in realtà improvvisato un selfie con una pantofola. Sorridenti e divertiti si sono messi in posa per gioco, fingendo di avere in mano, al posto di quella calzatura, un cellulare di ultima generazione. Qualcuno in quel momento ha ben pensato di fotografarli veramente per immortalare uno spaccato di realtà così diverso da quella che è la quotidianità dei bambini occidentali.
A postare sui social il selfie, fatto con una pantofola da cinque bambini indiani, è stato il fotografo Atul Kasbekar.

L’innocenza dei protagonisti dello scatto ha colpito il fotografo indiano sopra citato, che ha voluto diffondere la loro immagine sul web. Atul Kasbekar ha commentato con queste parole la foto:

Sono commosso e divertito allo stesso tempo.

L’uomo ha sottolineato di voler mostrare al mondo quei bambini per diffondere la loro innocenza e la loro gioia. Una felicità che nasce dalla povertà. A commentare lo scatto è stato anche il produttore televisivo di Calcutta, Siddhartha Basu, che ha sottolineato:

Non riesco a togliere il sorriso dal mio viso e il nodo nella mia gola.

Il selfie dei bambini indiani fatto con una pantofola ha scatenato una valanga di commenti sul web. portando a reazioni opposte. Accanto a chi ha sottolineato l’importanza del messaggio di gioia di quei piccoli, c’è stato chi ha ribadito l’amarezza per le condizioni di povertà in cui versano i bambini in diverse parti del mondo, come l’India.

L’immagine è stata definita da molti utenti come “la foto dell’anno” e ha avuto numerose condivisioni, sollevando il velo sul problema della povertà in India e sulla realtà dei bambini che rischiano la vita per la fame e le torture.
Un allarme che è stato ribadito anche dall’organizzazione non governativa People Vigilance Committee on Human Right che ha parlato delle condizioni di indigenza della popolazione nello Stato dell’Uttar Pradesh.
Riguardo al selfie dei bambini indiani, non sono mancate però le critiche di qualcuno.
L’attore e politico, Amitabh Bachchan, ha risposto al fotografo su twitter, insinuando il dubbio sull’autenticità dello scatto, e parlando di un possibile ritocco fotografico. Il braccio del piccolo che tiene in mano la pantofola, a sua detta, sembrerebbe infatti diverso dal resto del corpo. Kasbekar ha però rassicurato sull’autenticità dell’immagine, ammettendo che l’impressione che ha avuto Bachchan è dovuta a un gioco di prospettiva.

foto selfie con una pantofola

Leggi anche: Bambini, mamme e malasanità: dalla violenza ostetrica agli scambi di culla