L’ ecografia, spesso necessaria, rappresenta uno dei più utilizzati strumenti nelle mani di ginecologi e ostetriche specializzate per la valutazione di situazioni ostetriche e ginecologiche in generale.
In gravidanza è ormai diventato un esame di routine, nonostante varie evidenze scientifiche circa la scarsa utilità dell’ esame ecografico prima delle dieci settimane di gestazione o, ancora, l’ inutile ricorso ad un’ insistente medicalizzazione dello stato gravidico.
E’ un esame la cui durata può variare dai 20 ai 30 minuti, effettuato attraverso una sonda per via addominale o trans-vaginale (la differenza nell’ utilizzo dipende sia dall’ età gestazionale, sia dalla necessità di valutare non solo il benessere fetale come ad esempio per la cervicometria). Come riferimento delle linee guida proposte dall’ Organizzazione Mondiale della Salute si stabilisce un numero di tre ecografie minime consigliate, per la valutazione della gravidanza e dell’ accrescimento fetale.
La sonda emette degli ultrasuoni che permettono di delineare e definire parametri fetali (vari indici), uterini e relativi agli annessi fetali (placenta, liquido amniotico, flussimetria). Gli effetti da valutare (rari, ma mai da mettere nel cassetto dei ricordi) possono essere di natura termica, meccanica o di “cavitazione”.
L’ esame, quindi, dovrebbe essere svolto minimizzando i tempi di esposizione agli ultrasuoni e soprattutto cercando di effettuare una valutazione anamnestica completa. L’ American Institute of Ultrasound in Medicine, per ovviare a tali problematiche, ha approvato l’ utilizzo di alcuni indici di sicurezza direttamente indicati sullo schermo dell’ ecografo.
Una gravidanza a rischio, naturalmente, necessita di controlli più frequenti rispetto al numero definito di ecografie e le mamme e i papà non devono assolutamente allertarsi e spaventarsi per tali controlli strumentali, soprattutto confidando nella tecnologia moderna che si avvicina ad azzerare qualsiasi altro rischio esterno per il piccolo che attende di venire al mondo.