Il capriccio del bambino si può evitare?
Tutti i genitori, prima o poi, attraversano la tanto temuta “fase dei capricci“. Sembra un destino inesorabile, un passaggio inevitabile. Ma è davvero così?
La risposta è sì. I capricci non si possono evitare.
Esistono sicuramente bambini più inclini al capriccio e bambini che lo saranno meno ma difficilmente ci saranno bambini che non fanno capricci.
Il motivo è semplice: quello che noi adulti abbiamo etichettato come “capriccio” in realtà non è nient’altro che una modalità di espressione, un tentativo di comunicare qualcosa che ancora non si riesce a spiegare a parole.
Terrible two: cosa sono e come gestirli
I terribili due anni sono la fase in cui la maggior parte dei bambini fa i capricci. Questa fase può durare ben oltre i 2 anni e quasi sempre si spinge almeno fino ai 4.
In questo periodo evolutivo, i bambini sembrano essere in una fase in cui sono sbilanciati tra le emozioni che provano e la loro capacità di esprimerle. Molti bambini a 2 anni non parlano ancora ma anche quelli più precoci dal punto di vista linguistico non sono ancora in grado di riconoscere le emozioni che provano e dare loro un nome. E questo non è banale. Poter verbalizzare quello che si prova è il primo passo per poterlo gestire, per imparare a conviverci e per sapere come questo evolve.
Inoltre, una parte della dottrina pedagogica, sostiene che fino ad almeno ai 5/7 anni i bambini si trovano nella “fase egocentrica”, un periodo nel quale non accettano di essere messi in discussione, di essere contraddetti o rimproverati perché danno per scontato di essere perfetti e di essere accettati dagli adulti di riferimento per quello che sono, desiderano e chiedono.
Per questo motivo, in moltissimi casi, sono proprio i “no” a scatenare una reazione spropositata.
Chiaramente, con l’evolversi del linguaggio e l’ampliarsi del vocabolario le reazioni diventano sempre meno impulsive e le emozioni riescono ad essere riconosciute, verbalizzate e affrontate e i terrible two andranno piano piano ad esaurirsi.
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Capricci: cosa si nasconde dietro
Quindi, come si possono gestire i capricci in pratica?
Nella gestione di una reazione forte, non bisogna mai perdere di vista un punto fondamentale: il capriccio nasconde sempre qualcosa di non detto che è il reale motivo per cui esplode. Innanzitutto, individuato il problema principale, ossia l’incapacità di verbalizzare un’emozione, il primo approccio davanti ad un capriccio è senza dubbio quello di focalizzare la causa scatenante. Qui deve essere l’adulto a mettersi in ascolto del proprio bambino. Il capriccio non è quasi mai dovuto alla cosa non data, alla cosa negata, alla cosa rifiutata. Queste sono “le gocce che fanno traboccare il vaso” del bambino e che scatenano una reazione esagerata, apparentemente inspiegabile. Se questo succede, significa che il bambino, in quel momento, che la cosa ci sia palese o meno, sta vivendo una situazione che lo mette in difficoltà: probabilmente è stanco, è annoiato, è sovrastimolato, è indisposto, è nervoso, è triste, è imbarazzato. Lui non sa prendere piena coscienza di questo malessere e non sa incanalarlo mettendo in atto comportamenti che lo facciano stare meglio. Non lo sa fare. Non ha ancora imparato. Soprattutto tra i 2 e i 4 anni. Inoltre, se mai se ne rendesse vagamente conto, non lo saprebbe comunque verbalizzare, non saprebbe spiegarcelo.
L’adulto deve quindi colmare queste sue incapacità, deve verbalizzare per lui il disagio che ha fatto esplodere il capriccio. Deve sforzarsi di sintonizzarsi con il bambino per aiutarlo a focalizzare la cosa che lo sta realmente innervosendo e spiegargliela con poche parole chiare. Con un tono rilassato seppur deciso. È l’adulto che deve dimostrare al bambino come si diventa padroni di una situazione di difficoltà.
Capriccio: come deve reagire il genitore
Se anche i genitori cedono all’esasperazione, urlano, sbracciano, diventano aggressivi, di fatto mettono in atto lo stesso errore che inconsciamente fa il bambino: liberano senza freni un’emozione negativa. E, senza volerlo, riproducono lo stesso identico comportamento che nel bambino non sono disposti ad accettare, trasmettendogli così il messaggio diseducativo che quello sia l’unico modo di reagire e di manifestare un disagio, con l’aggravante che gli adulti possono farlo mentre ad un bambino non è concesso. Questo non significa assolutamente che “perdere la pazienza” non sia normale, lo è eccome. A volte diventa quasi liberatorio. Ma è la stessa cosa che succede al bambino quando fa un capriccio. Perché un adulto va compreso e un bambino no? Ovviamente le motivazioni scatenanti saranno differenti e quelle del bambino risulteranno sempre “banali” agli occhi di un adulto ma è proprio questo l’errore. Sminuire i motivi che portano un bambino a reagire in maniera esagerata, rischia di creare un’incomprensione di fondo che non farà altro che alimentare costantemente i capricci.
Bambini capricciosi: è importante chiedere scusa
Perdere la calma è normale. I genitori sono spesso sotto pressione.
Quelli che lavorano cercano di gestire delle vite ad incastro tra scadenze, adempimenti, questioni irrisolte che si accumulano, stanchezza e nervosismo.
Quelli che sono a casa si trovano spesso soli a gestire i bambini tutto il giorno, senza un po’ di tempo per se e costantemente dedicati alla casa e alla famiglia.
Qualsiasi sia la situazione di partenza, fare il genitore può essere davvero stancante e non sempre si ha la pazienza di affrontare i momenti di tensione con lucidità, soprattutto durante i capricci.
L’importante è essere consapevoli di quando a sbagliare è l’adulto, di quando lo stress prende il sopravvento e si percorre la via più breve ma meno corretta per ottenere con i bambini quello che si vuole.
Ricorrere ad una sonora sgridata o ad una sculacciata può avere la sua motivazione momentanea, che non deve essere stigmatizzata. Almeno fino a quando non diventa la consueta dinamica di gestione del rapporto genitore/figlio o quando si tratta sempre della prima scelta per sedare una discussione.
In ogni caso succede di eccedere e l’insegnamento più importante che possiamo dare ai nostri bambini, anche durante la fase dei terrible two, è quello di rendercene conto e attivare la cosiddetta “fase di recupero”. Questo momento è bene che si collochi ad una distanza temporale adeguata dall’accaduto, non troppo vicino perché non si è emotivamente nella condizione per discuterne, né troppo lontano perché è necessario che la “frustrazione” sia ancora sentita.
Quando torna la calma, ci si può sedere vicini e ripercorrere insieme al proprio bambino quanto successo e perché. Ovviamente trovando le parole più adatte per ogni età. E magari chiedere scusa, che quello è un linguaggio universale.
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