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Quando e come si può rifiutare l’induzione al parto?

L’induzione al parto consiste nell’insieme di tecniche manuali e nella somministrazione di farmaci uterotonici, al fine di stimolare l’arrivo delle contrazioni ed innescare il travaglio di parto. I farmaci utilizzati sono le prostaglandine, sotto forma di candelette o gel per via vaginale e talvolta in aggiunta anche l’ossitocina in vena quando è già cominciata una attività contrattile. Non va confusa però l’induzione al parto con il parto pilotato. Quest’ultimo si verifica quando c’è già stato un innesco naturale del travaglio, ma viene utilizzata l’ossitocina per rinforzare le contrazioni. Sovente capita che in una induzione vengano utilizzati entrambi i principi attivi, il primo per innescare il travaglio e il secondo per mantenere e rinforzare le contrazioni. L’induzione si utilizza in diversi casi.

  • Rottura precoce delle acque
  • Se le acque si rompono prima del travaglio e i polmoni fetali sono maturi (oltre le 36 settimane) si aspetta l’innesco spontaneo del travaglio che normalmente avviene entro un massimo di 24h. Se il travaglio non si innesca da solo si procede all’induzione per evitare una perdita eccessiva di liquido che complicherebbe il parto e il rischio di infezioni fetali per via ascendente.

  • Situazioni di emergenza che impongono un veloce espletamento del parto
  • Una sofferenza fetale acuta, una emorragia massiva o una grave pre-eclampsia sono indicazioni al parto a qualunque epoca, pur di salvare la vita di madre e bambino. Si procede in questi casi al taglio cesareo o all’induzione del parto a seconda delle circostanze.

  • Gravidanza protratta
  • Il termine di una gravidanza è 40 + 2. Vale a dire che scoccate le 40 settimane si danno altre due settimane di margine di tempo ritenute nella norma. Finite le 42 settimane ed entrate nelle 43 le evidenze scientifiche hanno dimostrato che attendere ancora espone la gravidanza a dei rischi maggiori, pertanto a 43 + 1 c’è già l’indicazione all’induzione anche senza e evidenziare problemi ecografici, ma a solo scopo preventivo.

Succede però che in questo ultimo caso molte donne vivano male l’esperienza dell’induzione, che spesso risulta anche fallimentare e conduce al cesareo dopo giorni di dolore. Una induzione senza urgenze documentate è in ogni caso una forzatura dei tempi naturali del corpo, che spesso seguono quelli della mente. Considerato poi gli effetti collaterali dei farmaci e la prospettiva di un parto pilotato e non naturale, sarebbe molto meglio non manipolare il corpo ed aspettare che la natura faccia il suo corso. La mente e il corpo hanno i loro tempi per abituarsi all’idea di accettare il dolore, di aprirsi e di staccarsi del bambino. Tutto questo necessita di una elaborazione psichica senza la quale il travaglio non si innescherà mai spontaneamente, e sarebbe bene non forzarlo.

La risposa alla domanda è si, ogni donna ha diritto a rifiutare l’induzione allorquando non si trovi in una situazione di emergenza documentata. In caso di rifiuto verrà informata di tutte le possibili conseguenze della sua scelta e una volta che i medici si saranno accertati della comprensione dei possibili rischi da parte della paziente, scriveranno la sua decisione in cartella clinica, in modo da sollevarsi da ogni responsabilità medico-legale, qualora subentrino delle complicanze legate all’attesa.

L’approccio più sano in caso di gravidanza protratta è quello di parlare con una psicologa esperta che possa aiutare a compiere quel processo di elaborazione delle paure, e fare un po’ di attività fisica per preparare al meglio il corpo ad una nascita consapevole.