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Il dolore del parto: a che serve? A cosa assomigliano le contrazioni uterine?

I muscoli del corpo umano, sia volontari che involontari si contraggono continuamente, e queste contrazioni non sono accompagnate da sintomatologia dolorosa. Pensiamo ad esempio ai muscoli scheletrici durante il movimento, ma anche ai muscoli involontari, come il cuore, o l’intestino e la vescica quando devono svuotarsi. Allora viene automatico domandarsi perché le contrazioni uterine invece sono dolorose?

A livello fisiologico la percezione dolorosa delle contrazioni del muscolo uterino, è dovuta al fatto che l’utero deve svuotarsi di più di 3 kg tra feto, placenta e liquido. Pertanto le sue contrazioni contro questa resistenza sono molto potenti e portano una intermittente ischemia d’organo, come quella che avviene nei crampi o nelle coliche addominali.

Inoltre l’utero contraendosi si sposta verso il basso tirando con se’ i legamenti e questo stiramento è piuttosto doloroso. Talvolta posteriormente c’è una cospicua presenza di nocicettori che fanno si che il dolore si irradi alla schiena, un po’ come avviene ad alcune donne durante il ciclo mestruale. Nella fase dilatante infatti le contrazioni uterine si potrebbero paragonare ai dolori mestruali, ma più intensi e ritmici, con una fase ascendente in cui il dolore arriva piano raggiungendo poi un picco massimo e una fase discendente in cui si attenua gradualmente per poi scomparire totalmente per qualche minuto e riprendere il circuito.

Non per il ultimo il fattore distensivo: il passaggio del feto distende i tessuti, muscolari e articolari nella fase espulsiva e questo è forse il fattore più determinante. C’è da dire però che non esistono solo i fattori fisici. Lo stimolo doloroso infatti viene catturato dai nocicettori e trasmesso poi al cervello dove viene rielaborato e qui è influenzato da fattori psichici: l’ansia di non farcela, la paura degli imprevisti, i ricordi negativi legati alle esperienze precedenti, possono aumentare la definizione mentale del dolore. E questo spiega il perché della soggettività del dolore.

Il dolore del parto è senza dubbio una delle paure più grandi per una donna. Nel corso dei secoli sono state messe a punto diverse tecniche per limitare il dolore.
La partoanalgesia farmacologica è una di queste tecniche. Si tratta della somministrazione di farmaci anestetici nello spazio intervertebrale durante il parto.

L’esperienza del parto naturale è talmente personale e associata al proprio vissuto che nessuno dovrebbe interferire sulle delicate scelte individuali o condizionarle, e ogni donna dovrebbe avere il diritto di scegliere per sè nella piena consapevolezza e informazione. Ma l’informazione stessa spesso viene a mancare, è lacunosa o è inquinata dalle opinioni personali.

Dunque spesso si lascia credere che partorire in anestesia sia assolutamente sbagliato oppure assolutamente risolutivo. Eppure molte donne escono fortemente scontente da entrambe le scelte proprio a causa di una cattiva preparazione mentale al parto e di una mancata conoscenza di quello che potrebbe succedere.

Quello che spesso non viene detto è che l’anestesia, affinché non sia d’ostacolo al progredire del travaglio, viene effettuata solo a dilatazione maggiore o uguale a 4 cm.
Questo significa dover attendere metà della fase dilatante (circa 5 ore). In questo lasso di tempo la donna avvertirà comunque le contrazioni dolorose. In breve gran parte del lavoro sarà già stato affrontato.

Un altra considerazione da non sottovalutare è che il dolore del parto ha delle funzioni importanti che vengono meno con l’epidurale. Lo stimolo doloroso infatti determina l’urgenza, cioè permette alla donna di trovare in se’ la giusta motivazione e la forza per effettuare delle valide spinte.

Dunque se il parto non fosse doloroso probabilmente non avverrebbe o durerebbe troppo, dato che nessuna madre vorrebbe vivere questo distacco fisico così forte dal proprio bambino. E’ proprio grazie al dolore del parto che i tempi della fase espulsiva si accelerano, perché subentra la nostra volontà di farlo cessare e quindi la nostra attiva collaborazione alle spinte.

Un altra funzione del dolore è quella ormonale. Il dolore intermittente delle contrazioni, infatti, ha tra le sue funzioni anche quella di scatenare in risposta il rilascio di endorfine, i cosiddetti ormoni della felicità, oppioidi naturali che aiutano a sopportare il dolore provocando uno stato di benessere fisico e mentale tra una contrazione e l’altra, garantendo il recupero e motivando alla spinta successiva.

Questo picco ormonale, agendo sul cervello della donna, ha anche come scopo quello di suscitare una sensazione di appagamento alla nascita del bambino, favorendone il primissimo legame e l’allattamento, limitando l’insorgenza di depressione post-parto, e assicurando al neonato le amorevoli cure materne.

Un altro ruolo svolto dal dolore è quello protettivo. Il dolore è un campanello d’allarme contro i danni all’organismo, pertanto quando diventa insopportabile vuol dire che il nostro corpo è in grave pericolo. Durante un momento così delicato come il parto, annullare la percezione dolorosa è un po’ come spegnere un allarme anti-incendio in una casa dove si è lasciato il gas aperto.

Tuttavia se siete davvero spaventate dall’idea di sentire dolore, bisogna dire che oggi le tecniche di contenimento del dolore del parto sono svariate. Tra le più valide ricordiamo l’ipnosi e l’agopuntura, ma anche qualche piccolo espediente al momento del parto.

I vantaggi di apprendere delle tecniche di rilassamento per la gestione e il controllo di queste tensioni posso essere di grande aiuto per affrontare serenamente non solo il dolore del parto ma anche il dolore nella vita di tutti i giorni.