foto_violenza_minorile

No alla violenza sulle donne, anche in sala parto

Il 25 Novembre ricorre la giornata contro la Violenza sulle Donne e proprio in questa data così importante è opportuno riflettere su tutti i tipi di violenza ai quali le donne sono sottoposte: violenza da parte del proprio partner, sul lavoro, violenza ostetrica. Dalla quella verbale si arriva alla violenza carnale e fisica.

La “Violenza ostetrica” è il tipo di brutalità al quale sono sottoposte alcune donne che, invece di vivere un momento magico (quello del parto e della nascita del proprio bambino), trascorrono attimi di paura, disorientamento e panico. Senza considerare la bruttissima condizione in cui vivono migliaia di donne in paesi orientali o africani in relazione alla pratica dell’ infibulazione, ma questo è un altro triste e lunghissimo discorso.

Non si tratta di situazioni molto diffuse, ma allo stesso tempo si parla di condizioni e fotografie di determinati ambienti ospedalieri che non possono né devono essere sottovalutate. Per vincere e combattere bisogna conoscere, informare ed informarsi.

Di cosa stiamo parlando? Velocità e aggressività nei parti, assenza di rispetto e assistenza nel corso del travaglio, donne non libere di scegliere la propria posizione per partorire, tagli cesarei immotivati, episiotomie senza limite.

Quanto specificato è dettagliato dai dati forniti dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità.

Già nel 1985 l’ OMS ha redatto il documento “Tecnologia appropriata per la nascita“, in cui si dettagliavano tutte le buone pratiche ostetriche, nel rispetto della donna e del suo corpo.

Nonostante il protocollo indichi e giustifichi la correttezza dell’episiotomia nel 5 % delle nascite, in Italia si arriva al 70 % ogni anno: in totale si tratta di circa 200 mila casi. Numeri e cifre sbalorditive, “giustificate” dalla necessità di facilitare l’ espulsione, ma celate dietro assenza di attenzione verso i tempi fisiologici e normali.

Più che incidere e tagliare il perineo della donna è come se si colpisse profondamente le sue sensibilità e integrità, soprattutto nel momento in cui essa non viene avvertita di ciò che sta per succedere al proprio corpo, lasciando tanti segni e conseguenze che possono evidenziarsi ulteriormente nel futuro della stessa.

Allo stesso modo, come ci spieghiamo il famoso “aiutino”, tecnicamente definito “Manovra di Kristeller” nonché la spinta sull’ addome che un esterno effettua per favorire l’espulsione? Come pensiamo che una donna possa vivere quell’ aiutino, specialmente se non accompagnata nella comprensione di quanto sta avvenendo?

Idem per quanto riguarda il parto in posizione ginecologica: scomoda e che limita la possibilità di estendere verticalmente i diametri del bacino. Le gambe fisse su degli appoggi, l’ impossibilità di poter decidere, il tracciato cardiotocografico continuamente in azione, nonostante le linee guida dicano ben altro.

Senza parlare del ricorso al taglio cesareo (spesso ben motivato, ma altrettanto non raramente associato a non corrette valutazioni della condizione in cui si trova la donna o il feto) che arriva a cifre da non sottovalutare. “In molti paesi europei ed extra-europei si osserva un aumento dei parti che vengono assistiti con il taglio cesareo (TC), con frequenze che si collocano intorno al 25-30%” è quanto dichiarato nelle linee guida del 2006 sul taglio cesareo.

Tutto ciò, dipende anche e soprattutto dall’ eccessiva medicalizzazione del percorso nascita e della nascita in sé, non rispettando la fisiologia e la naturalità di questi “viaggi”. La cosa peggiore, inoltre, è l’assenza di rispetto verso la figura femminile e verso la sua grandiosità riassumibile in tutte le circa 40 settimane di gestazione.

Il trauma non è rappresentato dal dolore del parto: questo (se vissuto con dolcezza, comprensione, silenzi e carezze) costituirà il più bel trampolino di lancio per una fantastica carriera di Madre. Il trauma, invece, è rappresentato dalle insistenze provenienti dall’ esterno.

E’ impensabile che in una sala travaglio e parto ospedaliere si mantengano le luci accese, la porta aperta, la scialitica puntata (come dei riflettori) sul corpo della donna, tanti camici bianchi a valutare “il tempo della discesa della parte presentata”, visite interne dolorosissime.

D’altro canto, è magnifico vedere quante belle realtà esistano nel nostro Paese e quanto ci si stia evolvendo per fare della “violenza ostetrica” un brutto ricordo della pratica passata. Per questo è opportuno che esista competenza, dolcezza, Passione per il proprio lavoro e Amore per le donne.

E’ inevitabile e anche normale che un minimo di ospedalizzazione sia presente (per rischi medico-legali, fattori burocratici anche legati alla scelta dei genitori nel lasciarsi seguire in questo ambiente), ma non bisogna fare in modo che l’ abitudine nel vedere e assistere ad un parto di medici e professionisti sanitari renda “non unico” e “aggressivo” questo momento per la futura mamma.

Come già detto, per vincere e combattere bisogna conoscere, informare ed informarsi.

E’ per questo motivo che un semplice articolo potrebbe rappresentare un momento ed un’occasione di riflessione: per le donne che possono così pretendere trattamenti migliori per sé e per il proprio bambino, e per chi lavora in determinati ambienti affinché possa essere un motivo in più di cambiamento.

 " data-cycle-speed="750" > violenza minorile pro del parto in clinica foto_kristeller_manovra
<
>