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Diario della gravidanza: la trentesima settimana

Sono arrivata di nuovo alla cifra tonda e comincio a essere spaventata, oltre che emozionata. C’è un momento, in ogni gravidanza, a quello che so, in cui la futura madre è combattuta tra i due desideri contrastanti: quello di continuare a vivere la sua vita usuale, la sua “vita di prima”, e quello di vederla ribaltata dall’arrivo del bambino. Io mi trovo proprio in questo limbo.

E’ una strana condizione quella che sto attraversando in questa trentesima settimana di gravidanza: sono impaziente di vedere che faccia avrà questo mio secondo figlio, sono ansiosa di cominciare il corso di preparazione al parto, tra qualche giorno. Anche se ho già partorito una volta, mi sembra giusto dedicare del tempo a prepararmi fisicamente e mentalmente a questo evento che, sono sicura, sarà diverso dal precedente. Inoltre sono già preda della mania di preparare oggetti e attrezzatura per il nascituro: ho già comprato il lettino anche per lui e mi sono procurata un trio per le prime passeggiate. Insomma, da una parte vorrei che il bambino nascesse il più presto possibile.

D’altro canto, quando mi immagino di nuovo in maternità, mi chiedo, con tutto l’amore possibile, “chissà se questo era il momento giusto per diventare mamma una seconda volta?”. Sono pensieri non facili da esternare, perché si rischia di essere fraintesi o mal interpretati, eppure so che sono molto diffusi tra le future mamme.

Nei giorni scorsi sono stata dalla mia dottoressa per un rapido controllo esami di routine: c’era qualche valore più alto e più basso del solito, per cui mi ha prescritto di ripeterli. Leggo che il bambino, a questa epoca della gravidanza, pesa circa 1,3 kg ed è lungo circa 38 centimetri in totale. Questi numeri, difficili da immaginare in carne e ossa, saranno tra poco confermati o eventualmente smentiti, dalla terza ecografia prevista dal Servizio Sanitario Nazionale, che ho in programma tra due settimane.

Riflettendo sull’ambivalenza del desiderio di voler vedere e stringere il piccolo e quello di aspettare con calma il termine della gravidanza, mi rendo conto che la durata dell’attesa ha un suo motivo interiore, oltre che naturale: nelle 40 settimane che separano il concepimento e il parto non solo si ha tempo di comprendere e preparare se stessi, la casa e il proprio futuro, ma si ha anche l’occasione di maturare come coppia di genitori. In mezzo a mille cose da fare, tra la cura degli altri figli, se ce ne sono, e della casa, tra il lavoro e le altre attività – volontariato, amici, vita sociale – madre e padre possono crescere giorno dopo giorno e diventare le due persone che accoglieranno una nuova vita tra loro. Questo pensiero mi fa accettare con più tranquillità la durata della gravidanza e il suo scorrere alternato lento e veloce.

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