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Diario della gravidanza: la trentasettesima settimana

Il conto alla rovescia è partito ufficialmente: dalle 37 settimane il bambino si considera “a termine” e pronto a nascere in qualunque momento. Deciderà di arrivare al giorno esatto del termine, fissato per il 15 maggio, oppure sarà impaziente di conoscere il mondo? La bella notizia di questi giorni è che il bambino si è girato e che non si trova più in posizione podalica! Dev’essere successo proprio in questa trentasettesima settimana di gravidanza. Me l’ha confermato la ginecologa nel corso dell’ultima visita.

Sono molto felice perché l’ipotesi di avere un cesareo, se il piccolo non si fosse presentato di testa, non mi entusiasmava davvero. So che alcune donne preferiscono fare un parto cesareo, per la paura di non sopportare il dolore e la fatica del travaglio. Nel mio caso, però, dopo aver avuto un travaglio sopportabile ed un buon parto neanche due anni fa, preferisco rivivere la stessa esperienza piuttosto che affrontare un intervento chirurgico.

In questa settimana sono arrivata anche all’ultimo incontro del corso di preparazione al parto. Abbiamo parlato del tema “hot” del post-partum, ossia l’allattamento: quanti dubbi, quante paure e… quante lacrime nei primi giorni in cui si comincia ad allattare un bambino. Si ha paura di non “avere latte” (cosa rarissima), possono arrivare ingorghi mammari o ragadi, il bambino o la bambina sembra che non collaborino, parlare con il marito o con il compagno di argomenti del genere pare impossibile…

Alla nascita della mia prima bambina, Giovanna, non ero preparata a tutto questo e l’avvio dell’allattamento non è stato semplice. In ogni caso l’ho allattata per dieci mesi, finché lei si è dimostrata interessata e ora ho l’occasione di mettere a frutto un’esperienza ravvicinata e cercare di prevenire i possibili problemi. Per esempio, ho cominciato ad utilizzare un olio per l’allattamento già da qualche settimana: sembra che preparare il seno prima del parto sia un buon metodo prevenire le ragadi.

L’ostetrica del corso ci ha lasciato, come souvenir, diversi testi da leggere e “meditare”, in vista del parto e soprattutto del crescere come genitori. Uno in particolare mi ha fatto ridere e commuovere al tempo stesso: riguarda il pianto del bambino. Il suo modo di parlare e di esprimersi nei primi mesi di vita: tutti ti dicono “tu sei la mamma, dovresti capire perché piange!” e capita che invece non capisci davvero il motivo per cui quello scricciolo continua a lamentarsi… Ecco perché mi piace trascrivere qui, in questo diario della gravidanza, il testo che l’ostetrica ci ha regalato.

Piango fin che mi pare e piango più che posso.
Piango perché non so parlare.
Piango per solidarietà con i miei amici.
Piango come piangono i bambini in tutto il mondo.
Piango così qualcuno prima o poi verrà.
Piango perché non so cosa fare.
Piango perché sono stufo di guardare il soffitto bianco.
Piango perché ho fatto tanta cacca.
Piango perché ho caldo, perché ho freddo,
perché sto bene, ma non voglio darvi la soddisfazione.
Piango non so perché, ditemelo voi se lo sapete,
oppure chiedetelo al pediatra che lui ha studiato.
Piango perché per ora è la cosa che so fare meglio.
Piango perché così creo un gran bel putiferio.
Piango perché anche voi alla mia età piangevate.
Non ricordo più perché ho iniziato a piangere,
ma prima un motivo sono sicuro che c’era.
Ovviamente piango perché ho fame e
non arrivo ancora alla maniglia del frigo.
Dopo il pasto piango perché ho mangiato troppo
e ho l’aria nella pancia.
Piangere però non fa male, non si muore di pianto,
anzi se non piangessi morirei.
Quando piango sono sicuro che vi ricordate
di me e che state male per me.
In realtà io non piango mai per niente, quando piango è perché voglio
qualcosa e alla mia età i desideri e bisogni corrispondono sempre.
Perciò non preoccupatevi troppo e sforzatevi invece di capire
di cosa ho bisogno così ci mettiamo tutti calmi e tranquilli.
E fra poco si ricomincia…

Alessandro Volta

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