Che cos’è il parto pilotato e quando è necessario

Quando si parla di parto pilotato spesso lo si associa al parto indotto. Entrambi possono sussistere in una stessa situazione, ma non sono la stessa cosa anche se vengono usati come sinonimo dai più. Indurre un parto vuol dire somministrare dei farmaci, tipicamente le prostaglandine per via vaginale, atti a indurre il travaglio quando non è ancora cominciato, cioè quando la dilatazione del collo e le contrazioni sono minime o assenti. Pilotare un parto, invece, vuol dire agire agire su un travaglio già avviato rinforzando le contrazioni con la somministrazione di farmaci o favorendo l’espulsione con la rottura manuale della borsa laddove non sia ancora avvenuta.

Può succedere che dopo una induzione con candelette di prostaglandine il travaglio si inneschi, ma le contrazioni siano deboli e i tempi si allunghino troppo. In questi casi si rende necessaria talvolta la somministrazione di ossitocina e la rottura manuale delle acque, quindi il parto viene sia indotto che pilotato.

Le indicazioni all’induzione le abbiamo abbondantemente descritte nell’articolo sul parto indotto. Per quanto riguarda il parto pilotato possiamo dire che la prima indicazione è un eccessivo allungamento dei tempi del parto. Spesso la causa alla base di tempi troppo lunghi è un malposizionamento della testa fetale o un’ipotonia uterina e altrettanto spesso entrambi questi fattori coesistono per questioni meccaniche.

Quando la testa del feto è posizionata male, sfrutterà male i diametri materni e quindi farà fatica a scendere. Per questo motivo l’utero cerca di contrarsi in modo più vigoroso per aiutare l’espulsione. Questo sforzo in più comporta un consumo più rapido di energia da parte delle fibre muscolari, che affaticatesi tendono a dare spinte meno vigorose e quindi si instaura una ipotonia uterina da consumo. Se questa ipotonia rallenta eccessivamente il travaglio il rischio di andare incontro ad una sofferenza fetale è abbastanza alto ed è pertanto ad uso profilattico che si somministra ossitocina in vena.

Questo farmaco è un uterotonico, serve cioè a ripristinare il tono delle contrazioni uterine. Si tratta dello stesso ormone prodotto naturalmente dall’organismo durante il travaglio quindi la sua somministrazione deve essere controllata e regolata in base alla risposta dell’organismo. Il suo passaggio placentare non comporta nessun rischio per il bambino e non compromette il buon esito dell’allattamento.