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Nono mese di gravidanza: bimbo podalico, moxa, travaglio e induzione

Il 9° mese di gravidanza: la data presunta parto

E così si è giunti alla fine di questo percorso. A 35 settimane inizia ufficialmente l’ultimo mese di gravidanza che potrebbe arrivare fino a circa 42 settimane, a seconda delle condizioni della mamma.
La data presunta parto, infatti, è una data abbastanza indicativa: la maggior parte delle gravidanza durano 40 settimane (convenzionalmente 258 giorni) ma il margine d’errore della data presunta parto è altissimo. Basti pensare che solo il 4% dei bambini nasce esattamente il giorno della data presunta parto.
A cosa serve allora stabilire la data del parto?
Definire in maniera quanto più possibile esatta la data presunta del parto serve a stabilire innanzitutto la corretta crescita del feto durante tutte le fasi della gravidanza e non sospettare erroneamente crescite lente o eccessive.
Inoltre, conoscere la data presunta parto, è necessario per preparare al meglio l’equipe medica che assisterà al travaglio. Se tra le 37 e le 41/42 settimane la gravidanza si considera a termine, prima della 37ª settimana un parto è considerato prematuro e il bambino avrà la necessità di assistenza specifica. Oltre la 41ª settimana, invece, i controlli devono intensificarsi perché il liquido amniotico potrebbe scarseggiare, il bambino andare in sofferenza o crescere eccessivamente e lasciare come unica possibilità il taglio cesareo o un parto naturale eccessivamente faticoso e rischioso per mamma e bambino. In questo caso, i medici valutano la possibilità dell’induzione del parto.
Ma scopriamo insieme cosa succede settimana per settimana durante il nono mese di gravidanza.

Trentacinquesima settimana di gravidanza: bambino podalico e moxa

Il bambino è lungo 45 cm e pesa circa 2.300 grammi.
Nella maggior parte dei casi, a 35 settimane di gravidanza, il bambino si presenta in posizione cefalica, pronto al parto.
In un’altra percentuale di casi però, alla 35ª settimana, il bambino è ancora in posizione podalica. È bene specificare che i bambini possono girarsi e mettersi in posizione cefalica fino all’ultimo giorno: ci sono infatti casi di mamme ricoverate per un cesareo programmato per presentazione podalica del bambino che il giorno dell’ecografia prima di entrare in sala operatoria hanno scoperto che il bambino si era girato.
Sicuramente, un’opzione da valutare in caso di posizione podalica è la moxibustione, detta anche moxa.
Per moxa si intende una tecnica derivante dalla medicina tradizionale orientale che si avvale di un “sigaro” di artemisia vulgaris che viene bruciato vicino al mignolo del piede inducendo una stimolazione. Il sigaro ardente viene messo a contatto con la pelle, viene semplicemente avvicinato lasciando che il calore stimoli proprio un punto specifico (definito dall’agopuntura) e dovrebbe aiutare la corretta posizione del feto. La tecnica della moxa viene insegnata ai genitori che proseguono a casa nei trattamenti. I vantaggi della moxa in gravidanza è che si tratta di una pratica non invasiva senza controindicazioni, sia per la mamma sia per il bambino. Anzi, si tratta di un momento per coccolarsi e parlare un po’ del parto e di quello che sarà, confidandosi paure e aspettative.
L’unica controindicazione della moxa, se così si può definire, è che si basa sui principi dell’agopuntura e va svolta con precisione, nel punto indicato, altrimenti potrebbe non avere effetto. Effettuando la moxa a casa si potrebbe essere meno precisi e potrebbe essere necessario ripetere il tentativo più volte.
Da questo punto di vista non ci sono limiti e i cicli di moxa si possono ripetere senza controindicazioni.
Nel video che segue un’ecografia a 35 settimane di gravidanza.
Nel video successivo un approfondimento sulla moxa in gravidanza.

Leggi anche: Bambino podalico? Usate la moxa in gravidanza

Trentaseiesima settimana di gravidanza: il tampone vaginale

Alla 36ª settimana di gravidanza il bambino è praticamente pronto per la vita esterna: questa è l’ultima settimana, infatti, in cui un parto viene considerato prematuro.
Il bambino è lungo 46 cm e pesa 2.500 grammi. Il suo grasso sottocutaneo continua ad aumentare e si prepara a mantenere la temperatura stabile una volta nato.
Il peso corporeo della mamma è aumentato intorno agli 11/12 kg ed è importante continuare a mantenerlo monitorato anche durante le ultime settimane.
A 36 settimane di gravidanza ormai tutti gli esami sono stati effettuati. Vanno ripetuti i principali esami del sangue in vista del parto ed è necessario effettuare il tampone vaginale. È un test molto semplice, non invasivo e non doloroso: si passa un piccolo cotton fioc nella parte rettale e vaginale. Il tampone serve a rilevare la presenza del batterio dello streptococco che, in caso di parto per via vaginale, può creare qualche problema alla mamma e al bambino.
Il tampone vaginale risulta positivo in circa 2 casi su 10.
Il batterio dello streptococco B non dà alcun sintomo, per questo molte mamme scoprono di averlo solamente ritirando l’esito del tampone vaginale.
Per eseguire il tampone in maniera corretta, senza falsare i risultati, è necessario evitare, nelle 24 ore precedenti all’esame, i lavaggi vaginali, i rapporti sessuali, le terapie a base di creme o ovuli. Inoltre, e l’assunzione di antibiotici nei 5 giorni precedenti.
In caso di tampone vaginale positivo, al momento del parto, viene somministrato alla mamma per via endovenosa un antibiotico che proteggerà sia la mamma sia il bambino, senza conseguenze. Dopo il parto verranno effettuati ulteriori esami e controlli per verificare che il bambino non abbia contratto lo streptococco.
Il tampone non sarà invece necessario in caso di parto cesareo programmato a meno che non si sia verificata la rottura delle acque: in questo caso l’antibiotico verrà comunque somministrato.
Nel video che segue un’ecografia a 36 settimane di gravidanza e poi un approfondimento sul tampone vaginale in gravidanza.

Leggi anche: Tampone vaginale in gravidanza

Trentasettesima settimana di gravidanza: la manovra di rivolgimento

La 37ª settimana di gravidanza è quella in cui ufficialmente si esce dal rischio di parto prematuro. Le gravidanze che raggiungono le 37 settimane vengono considerate “a termine“. Questo significa che il bambino ha raggiunto le condizioni ottimali per sopravvivere senza particolari cure e interventi del personale medico fuori dalla pancia della mamma. In particolare il suo corpo ha sviluppato sufficiente grasso sottocutaneo per mantenere stabile la temperatura corporea e il suo sistema respiratorio è completamente formato. Può succedere che, in caso di parti eccessivamente lunghi o faticosi sia comunque necessario un intervento del personale medico per migliorare alcuni parametri ma sono casi specifici. A 37 settimane di gravidanza il bambino è ormai lungo 47 cm e pesa 2.700 grammi. Ormai lo spazio per girarsi, in caso di posizione podalica, diventa sempre meno. Il parto naturale podalico è sicuramente una possibilità ma essendo più rischioso sia per la mamma sia per il bambino, il personale disponibile ad assistere un parto podalico non è frequente. Per questo si preferisce l’opzione del parto cesareo programmato. Esiste però ancora un’alternativa, ed è la manovra di rivolgimento. La manovra di rivolgimento non ha nulla a che vedere con la temuta manovra di Kristeller che avviene durante il parto. Si può effettuare fino alla 38ª settimana di gravidanza (anche se ci sono casi in cui la manovra di rivolgimento viene provata anche in fase di travaglio, a patto che non si siano rotte le acque). La manovra può essere effettuata solo se:

  • il bambino non è ancora incanalato
  • c’è abbastanza liquido amniotico
  • la placenta non è previa

La manovra di rivolgimento viene effettuata tassativamente in ospedale, sotto controllo ecografico in modo da monitorare cosa avviene all’interno dell’utero. Durante l’esecuzione vengono somministrati alla mamma dei farmaci per evitare le contrazioni uterine. Il medico prova ad accompagnare, dall’esterno, testa e piedi del bambino per favorire una capovolta. Si effettuano 2 o 3 tentativi, sia in avanti, sia indietro, a seconda della posizione del bambino. La manovra di rivolgimento è di per sé sicura, perché effettuata sotto controllo ecografico da personale specializzato. Viene subito valutata la posizione e la lunghezza del cordone ombelicale e se le condizioni non sono ideali non viene eseguita.
Nel video che segue un’ecografia a 37 settimane di gravidanza  e poi un approfondimento sulla posizione podalica del bambino al termine della gravidanza.

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Trentottesima settimana di gravidanza: l’ostetrica privata

A 38 settimane di gravidanza, il bambino è lungo circa 47 cm e pesa 2.900 grammi. La pancia piano piano si abbassa perché il peso del bambino lo spinge verso il canale del parto.
In questo modo la mamma comincia a respirare meglio perché i polmoni e il diaframma non sono più compressi.
Alla 38ª settimana, ormai è tutto pronto, non ci sono più cambiamenti determinanti, né nella mamma, né nel bambino. I giorni in più all’interno della pancia della mamma servono solamente per rinforzare quanto ormai completamente formato: il sistema respiratorio continua i suoi allenamenti, il grasso sottocutaneo aumenta sempre un po’ di più per favorire la termoregolazione, il sistema immunitario si rinforza ogni giorno che passa.
Cosa resta da fare alla mamma in queste settimane di gravidanza?
Quello che resta da fare alla mamma è sicuramente riposarsi.
Il parto, comunque vada, è sicuramente un momento di forte stress ed è importante arrivare al meglio. Passeggiare all’aperto, farsi dei bagni rilassanti, mangiare bene, bere molta acqua e riposarsi sono senza dubbio attività che possono aiutare la mamma ad avvicinarsi con serenità al momento del parto.
Se la paura del parto diventa eccessiva è possibile frequentare delle lezioni di yoga o parlare con personale specializzato facendone richiesta all’ospedale. Una chiacchierata con chi ogni giorno affronta parti di ogni genere o tipo è sicuramente d’aiuto.
Un’altra possibilità potrebbe essere quella di rivolgersi ad un’ostetrica privata. La figura dell’ostetrica è fondamentale durante il travaglio e un’intesa negativa o un’antipatia a pelle rischiano di rovinare completamente il momento del parto. Purtroppo nella maggior parte dei casi le ostetriche in ospedale non si possono “scegliere” e durante il parto ci si troverà il personale di turno in quel momento. Una mamma però, nelle ultime settimane di gravidanza, può scegliere di farsi seguire privatamente da un’ostetrica. L’ostetrica privata si può cercare in internet, o può essere consigliata da un’amica oppure si può incontrare presso i centri di accompagnamento alla nascita che organizzano corsi e incontri sia per le mamme in attesa, sia per le neomamme. L’ostetrica privata accompagnerà la mamma nelle ultime settimane di gravidanza, con consigli e supporto anche psicologico. Al momento del parto sarà presente in sala, insieme al personale medico dell’ospedale. La differenza è che con l’ostetrica privata la mamma può aver già costruito un rapporto di sintonia e confidenza che la rassicurerà al momento del parto, rispetto all’incontro con una persona nuova e sconosciuta.
Nel video che segue un’ecografia a 38 settimane di gravidanza.
Nei video successivi un approfondimento sul ruolo dell’ostetrica in gravidanza, durante e dopo il parto.

Leggi anche: Farsi seguire da un’ostetrica in gravidanza: 5 buoni motivi

Trentanovesima settimana di gravidanza: l’aumento del peso e la ripresa della forma fisica

A 39 settimane di gravidanza il bambino è lungo 49 cm e pesa circa 3.100 grammi. Il peso corporeo della mamma è aumentato indicativamente di 15 kg. Anche se fosse aumentato di più, la maggior parte dei kg si perderanno tra il parto e i primi mesi. Molti sostengono che l’allattamento aiuti a perdere prima i chili in eccesso. Non è del tutto vero in quanto pur essendo l’allattamento molto impegnativo e richiedendo effettivamente parecchie energie, provoca anche molta fame, soprattutto di dolci. La perdita dei chili della gravidanza, quindi, dipende molto da donna a donna e non c’è una regola. L’importante è non esagerare con la volontà di recuperare la forma già dai primi mesi. La stanchezza sarà tanta, il corpo sarà dolorante e tutti i muscoli, gli organi e le strutture dovranno innanzitutto recuperare la loro posizione prima di poter essere caricate da attività fisica. Lo stesso vale per la dieta dopo il parto: i primi mesi saranno molto impegnativi. La mamma deve fare il pieno di energie e non può permettersi in questo momento di sottrarre al proprio organismo elementi fondamentali.
Dopo i primi 3 mesi si può riprendere una moderata attività fisica, fatta di passeggiate a ritmo sostenuto e leggere corsette (da valutare sempre in base ad eventuali fastidi legati al parto che devono essere approfonditi prima di fare esercizi che potrebbero aggravarli). Assolutamente vietati gli addominali fino a quando i retti non si saranno richiusi e la situazione dei muscoli ristabilita. In molti casi, dopo la gravidanza, le donne soffrono di diastasi dei retti addominali, una patologia più diffusa di quel che si immagini e che deve essere valutata e gestita adeguatamente per evitare peggioramenti.
A 39 settimane di gravidanza, con una pancia ormai enorme, molte mamme pensano già a come rimettersi in forma dopo il parto: non si piacciono nel loro corpo, temono le conseguenze fisiche, le smagliature, i chili in eccesso, la pelle rilassata.
Sensazioni assolutamente giustificabili ma che non devono diventare eccessive. Per 9 mesi il corpo ha ospitato una vita, è stato sottoposto ad uno stress importante, tutte le strutture interne sono state interessate da modifiche senza precedenti. È necessario prendersi almeno lo stesso tempo perché la natura riassesti il tutto. Solo dopo questi primi 9/12 mesi si potrà fare una valutazione generale e, sempre sotto la supervisione di personale specializzato, riprendere un’attività fisica importante e sostenere una dieta adatta a perdere i chili in eccesso della gravidanza che ancora restano.
Nel video che segue un’ecografia a 39 settimane di gravidanza.
Nei video successivi un approfondimento sull’attività fisica dopo il parto e sulla dieta per perdere i chili in eccesso della gravidanza.

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Quarantesima settimana di gravidanza: la rottura delle acque e il travaglio

La 40ª settimana di gravidanza è quella che si aspetta dall’inizio di questo viaggio. In questa settimana si colloca la data presunta parto. Molte donne avranno ormai già partorito. Molte altre, probabilmente, partoriranno più avanti. Solo il 4/5% dei bambini, infatti, nasce esattamente il giorno della data presunta parto. Ma, convenzionalmente, la quarantesima settimana è quella in cui si colloca il parto.
Ma come inizia il travaglio?
Ogni mamma che si avvicina al parto pensa sempre più spesso a come inizia il travaglio. Qualche giorno prima dell’inizio del travaglio avviene la perdita del tappo mucoso, lo strato di muco che si forma all’interno del collo dell’utero fin dall’inizio della gravidanza, per isolare e proteggere il feto. La perdita del tappo mucoso può avvenire senza che la mamma se ne accorga, è indolore e non sempre evidente. Il travaglio può iniziare con semplici contrazioni, dapprima non dolorose, poi sempre un po’ di più. Le contrazioni da travaglio si riconoscono e si distinguono dalle contrazioni di Braxton Hicks perché sono regolari. Non importa ogni quanti minuti purché regolari (si possono avere ogni 10 minuti, ogni 6 minuti o già ogni 4/5 minuti ma terranno tutte la stessa identica distanza una dall’altra). Da quando iniziano le prime contrazioni regolari non si può stabilire quanto durerà il parto.
Se si è al primo figlio, prima di partire per l’ospedale, verificare di avere almeno per un’ora contrazioni regolari (che potrebbero man mano ravvicinarsi e lasciare sempre meno tempo tra una e la successiva). Se si tratta del secondo o terzo figlio, di solito, una mamma le riconosce bene e sa quando recarsi all’ospedale (di solito i parti successivi durano meno del primo per cui è meglio recarsi in ospedale appena le contrazioni diventano regolari).
Nel travaglio che inizia con le contrazioni, non è detto che si rompano le acque. Le acque potrebbero rompersi anche a travaglio avviato o durante la fase espulsiva o, in rari casi, non rompersi mai e far nascere il bambino avvolto nel sacco amniotico.
Cosa succede quando si rompono le acque?
Il travaglio potrebbe iniziare con la rottura delle acque. La rottura delle acque dà inizio a circa il 15% dei travagli. Con un movimento il bambino rompe il sacco amniotico e fa uscire il liquido amniotico che l’ha avvolto per 9 mesi. Le acque si possono perdere lentamente oppure tutte insieme a seconda se il bambino rompe il sacco nella parte bassa (perdita copiosa) o nella parte alta (perdita più lenta). Anche se si rompono le acque, il travaglio può non avviarsi e le contrazioni possono non esserci.
In caso di rottura delle acque, se il liquido amniotico è trasparente e inodore, la mamma può tranquillamente fare una doccia, cercare di rilassarsi e con calma raggiungere l’ospedale. Soprattutto in assenza di contrazioni non c’è nessuna fretta di recarsi in ospedale. Se invece il liquido amniotico che si perde non è trasparente o presenta un cattivo odore è necessario recarsi in ospedale appena possibile per un controllo. Se il travaglio non dovesse avviarsi entro le 24 ore successive alla rottura delle acque, si inizierà con l’induzione del parto.
Nel video che segue un’emozionante filmato sulle 40 settimane di gravidanza, dal concepimento al parto.
Nel video successivo una raccolta di pillole per approfondire l’inizio del travaglio e la rottura delle acque.

Leggi anche: Come inizia il travaglio: i sintomi da riconoscere

Quarantunesima settimana di gravidanza: l’induzione del parto

A 41 settimane di gravidanza si è ormai oltre il termine convenzionalmente stabilito di 258 giorni. In linea generale questo non è un problema di per sé, se non che il liquido amniotico comincia a scarseggiare, la placenta ad invecchiare non svolgendo più in maniera efficace il suo compito di nutrimento e ossigenazione e il bambino a crescere eccessivamente, rendendo poi più complesso il parto naturale.
Circa il 30% delle donne va oltre il termine della data presunta parto ma solo il 10% dei parti viene indotto.
La scelta di quando procedere all’induzione del parto dipende da ospedale a ospedale. Tendenzialmente si stabilisce come data ultima 41 settimane + 3 giorni. Dopo questa data, per motivi di sicurezza si propone l’induzione. La mamma può scegliere di rifiutarla ma deve compilare un modulo (e anche in questo caso le procedure cambiano da ospedale a ospedale). Si parla di parto indotto quando si ricorre ad alcune tecniche per far avviare il travaglio. L’induzione del parto può avvenire in vari modi.
Spesso il primo tentativo di induzione del parto è “meccanico” e non farmacologico: se il collo dell’utero è ancora chiuso si applica uno speciale palloncino che rimane in sede 12-18 ore e meccanicamente porta alla dilatazione del collo. Questo metodo di induzione del parto non è doloroso ma potrebbe essere fastidioso e soprattutto potrebbe non funzionare e per la mamma rimanere ancora così tante ore in attesa potrebbe essere emotivamente snervante.
Un altro metodo di induzione prevede l’applicazione di prostaglandine che vengono applicate manualmente a livello vaginale, la più conosciuta induzione con il gel. Questa induzione può avvenire anche tramite piccole striscette di tessuto che, a poco a poco, sono in grado di far ammorbidire il collo dell’utero, per consentirgli di dilatarsi.
È possibile anche somministrare le prostaglandine per via orale.
Il metodo più conosciuto ed efficace per il parto indotto è la somministrazione di ossitocina. All’induzione con ossitocina si ricorre quando il collo dell’utero è già dilatato con l’obiettivo di rinforzare contrazioni già presenti ma troppo leggere o poco efficaci. Con l’ossitocina il travaglio è più doloroso ed è per questo motivo che molti ospedali, contemporaneamente alla somministrazione dell’ossitocina durante l’induzione del parto propongono l’epidurale.
Nei video che seguono un approfondimento sul parto indotto.

La fine della gravidanza

Con il parto termina ufficialmente il viaggio della gravidanza. Un viaggio lungo 9 mesi che ci porteremo dentro per tutta la vita.
Ma è proprio ora che inizia l’esperienza piena della maternità, le difficoltà, le paure, i dubbi. Una parte di vita in cui la nuova famiglia ha bisogno di attenzioni e rassicurazioni. Per questo motivo è importante che la mamma e il papà sappiano immediatamente individuare le persone che possono essere di maggior sostegno durante questi primi impegnativi mesi. Innanzitutto, una volta dimessi dall’ospedale è necessario recarsi all’ATS locale con il codice fiscale del proprio bambino (rilasciato immediatamente dall’INPS) per la scelta del pediatra di base, che sarà il punto di riferimento per tutte le questioni sanitarie legate al bambino. Spesso purtroppo i pediatri di base sono completi e resta poca possibilità di scelta alle mamme. Per questo moltissime mamme cercano anche un pediatra privato. Non è ovviamente necessario rivolgersi ad un pediatra privato, in quanto di diritto a chiunque spetta gratuitamente un pediatra del sistema sanitario nazionale. Ma il pediatra privato, spesso, ha più tempo a disposizione e affianca la mamma anche su aspetti più comportamentali ed educativi non limitandosi esclusivamente agli aspetti fisici e fisiologici.
Un’altra figura importante da identificare tra quelle dei consultori familiari o tra la rete di conoscenze è una consulente allattamento: spesso sono mamme che hanno frequentato corsi di formazione e che hanno esperienze multiple in allattamento; altre volte sono vere e proprie figure professionali che possono dare un supporto senza paragoni alle mamme che affrontano difficoltà con l’allattamento. L’importante è rivolgersi a queste persone fin dai primissimi giorni per evitare di trascinare situazioni di difficoltà e di stress e impostare bene l’allattamento fin da subito.
Anche le ostetriche del consultorio possono essere figure professionali molto importanti che possono dare supporto e conforto alle neomamme e che sono disponibili a incontri dedicati magari durante i controlli del peso di routine o durante i numerosi corsi che vengono organizzati.
Fondamentale diventa la rete di altre neomamme, persone che vivono nello stesso momento le stesse difficoltà e che hanno tutte voglia di condividerle e di scambiarsi consigli ed esperienze. Spesso proprio i corsi organizzati dai consultori (corsi di massaggio neonatale, incontri su temi specifici, spazi d’ascolto ecc.) o dai centri dedicati al supporto genitoriale a creare l’occasione per conoscere altre mamme con bambini della stessa età del proprio. Anche scambiarsi i numeri di telefono o le amicizie sui social con le mamme del corso preparto servirà dopo per mantenersi in contatto e scambiarsi dubbi e consigli.
Buon viaggio!

Foto piedini neonato
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