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Parto cesareo, che dolore si prova? Il racconto di una madre

All’inizio della gravidanza non si sa se si affronterà un parto naturale o cesareo, così prima di scoprirlo generalmente ci si prepara alla prima opzione attraverso dei corsi di accompagnamento alla nascita. Se però a causa di complicazioni si deve ricorrere alla tanto temuta operazione ginecologica, le future madri si sentono impreparate.

Questa sorta di paura avviene ad esempio perché non sono stati svolti esercizi di respirazione durante il corso preparto, in quanto non richiesti durante il taglio cesareo, dove la donna è sotto anestesia parziale o totale, e proprio ciò preoccupa maggiormente: ossia non avere il controllo. Inoltre, desta ansia la riabilitazione, ma anche la paura di dover affrontare l’intervento stesso. La mia esperienza invece è alquanto positiva, ovviamente è soggettiva, ma spero serva a tranquillizzare quelle madri pronte ad affrontare questo tipo di parto.

Ho saputo di dover fare un cesareo all’ottavo mese di gravidanza perché il mio bambino non si nutriva bene in pancia e ciò non dipendeva dalla placenta, ma dal mio piccolo che cresceva al di sotto dei parametri intrauterini. Così, dopo aver fatto circa 33 giorni di punture sottocutanee di calceparina, e una dieta ricca di ferro, mi è stato vivamente consigliato dalla ginecologa di far nascere mio figlio proprio in maniera programmata.

Io stessa sono “figlia di un cesareo d’urgenza” avvenuto a causa di una gestosi di mia madre, e per fortuna proprio lei mi ha tranquillizzata dicendomi che non dovevo temere nulla. Però ammetto che, una volta entrata in sala operatoria, mi sono spaventata nel vedere l’equipe medica pronta ad indossare guanti sterili con le mani all’insù, e tutti quei ferri ben posizionati su di un carrello, che sapevo che di lì a poco sarebbero serviti per aprire la mia pancia, ma l’analgesico aveva ormai preso il sopravvento nella zona del basso ventre ed i miei pensieri superavano il dolore che era già impercettibile.

Il tutto sarà durato circa 15 minuti, facendo un’anestesia locale. Ho commesso però un solo errore, che consiglio alle lettrici di non ripetere, proprio perché non percependo nessun dolore (praticamente la sensazione è come quando si va dal dentista e avverti che il dottore sta lavorando nella bocca ma non senti dolore a causa del sedativo) ho guardato nella lampada scialitica dove veniva riflessa l’immagine dell’operazione. Così come un film horror dal lieto fine, ho visto, anche se non in modo nitido, ciò che stava succedendo. Poi i dottori mi hanno detto:-signora auguri è nato!– e da lì le lacrime!.

Non ho potuto avere sul petto il mio bambino, come fanno le donne che partoriscono naturalmente, ma ho visto subito la sua faccina rilassata, liscia come una pesca. Poi l’hanno portato al controllo mentre le infermiere si occupavano di me: distraendomi con gli auguri e con domande varie, posizionando le mie gambe sulla mia testa, come se fossi una ginnasta, e tutto ciò senza che io percepissi nessuno sforzo perché ero ancora sotto anestesia.

Infine ho potuto abbracciare il mio pargolo, con la voce ancora tremante a causa dell’ analgesico, ma il giorno dopo, a differenza di alcune degenti anche loro sotto cesareo, mi sono alzata abbastanza tranquillamente, abbandonando il catetere. Non so se sia astata la mia grande forza di volontà dovuta dal fatto che volessi coccolare il mio bambino, oppure la mia giovane età, avevo 25 anni, ma l’unico fastidio del post cesareo, che io ho percepito è stato il sorridere. Proprio così, ad ogni battuta fatta da amici o parenti non potevo ridere per i punti che mi tiravano e sempre per questi per una settimana non ho dormito mai di lato.

Sono consapevole che in Italia si faccia un vero abuso di parti cesarei, e che molte donne provano difficoltà con la riabilitazione e la canalizzazione post intervento, o nel’allattare il piccolo, ma per mia fortuna a me non è andata così, nessuno di questi problemi. Spero che il mio racconto riesca a tranquillizzare le madri che si accingeranno a questo tipo di operazione, sempre e comunque fine alla nascita del proprio figliolo.