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Citomegalovirus: la speranza arriva dalle immunoglobuline

È il nemico silenzioso di ogni mamma in attesa, ben più frequente della nota toxoplasmosi. Il citomegalovirus rappresenta la più pericolosa infezione materno-fetale che colpisce circa un neonato su 100. Il citomegalovirus fa parte della famiglia degli Herpesvirus, proprio come l’herpes labiale, quello genitale e il virus della varicella.

Le possibilità di contagio da cmv sono abbastanza frequenti in quelle situazioni in cui vi è stretto contatto con i fluidi corporei come urina, saliva e sangue. Normalmente, in un soggetto adulto immunocompetente, le possibilità di trasmissione si riducono grazie allo scudo di protezione offerto dal nostro sistema immunitario.

La gravidanza proprio per una sua caratteristica fisiologica, volta all’evitare il rigetto del feto, porta ad una transitoria immunodepressione che rende le mamme in attesa più esposte a questo tipo di contagio.

Un’altra caratteristica del citomegalovirus è il suo manifestarsi discreto, cosa che impedisce a molte persone di diagnosticarlo tempestivamente, attraverso sintomi aspecifici e di lieve entità, quali stanchezza e leggera alterazione della temperatura. Tali sintomi inducono spessissimo a pensare a una semplice influenza o a un periodo di particolare stress.

Proprio per questi motivi è importante verificare l’assenza, o l’eventuale presenza, degli anticorpi del citomegalovirus ai primi esami ematici prescritti in gravidanza. In caso di negatività sarà buona norma ripetere mensilmente tale indagine, al fine di cogliere tempestivamente l’infezione da CMV.

L’esame a cui sottoporsi è molto semplice: attraverso un prelievo venoso vengono rintracciati gli anticorpi specifici del citomegalovirus. Tali immunoglobuline si distinguono in IgG e IgM.
Le immunoglobuline IgG sono la memoria dell’infezione. Un eventuale valore positivo delle IgG indica che il citomegalovirus è già stato contratto in passato e, pertanto, il nostro organismo ha già prodotto gli anticorpi per fronteggiarlo. Questo risultato, se accompagnato dalle IgM negative, permette alla mamma di stare in una condizione di discreta serenità in relazione alla possibilità di una nuova infezione.
Le immunoglobuline IgM sono invece gli anticorpi che si formano quando l’infezione è in atto, pertanto un valore positivo ad esse associato deve essere un campanello d’allarme da segnalare tempestivamente al proprio curante.

Cosa avviene in caso di contagio in gravidanza? Purtroppo il rischio di trasmissione al feto in caso di infezione primaria da citomegalovirus -cioè contratta per la prima volta- è molto alto, aggirandosi intorno al 40-50%. Di questa percentuale solo il 10% sarà sintomatico alla nascita, manifestando danni importanti soprattutto a livello neurologico. La restante percentuale di bimbi nati infetti dal citomegalovirus, asintomatici alla nascita, non è esente da conseguenze: il 10-15% potrà manifestare delle sequele negli anni successivi, soprattutto legate all’ apparato uditivo che possono portare a una sordità neurosensoriale, che è seguita da mutismo quando è bilatelare.

Esiste una possibile cura al citomegalovirus? Ad oggi non c’è un protocollo specifico per la cura del CMV ma un importante aiuto arriva dalle immunoglobuline stesse. In diversi ospedali italiani sono state avviate delle procedure che permettono alle donne con un’infezione primaria da citomegalovirus, accertata in corso di gravidanza, di sottoporsi mensilmente alla somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa.

Queste infusioni di immunoglobuline forniscono tempestivamente l’organismo materno di anticorpi efficaci che contrastano la diffusione del virus e contemporaneamente impediscono il passaggio di questo attraverso la placenta, riducendo quindi le possibilità di trasmissione al feto.
Anche in caso di liquido amniotico infetto, nell’eventualità in cui il virus del citomegalovirus sia passato attraverso la placenta, le infusioni di immunoglobuline possono essere di aiuto nei confronti del neonato, fornendo al bimbo stesso gli anticorpi necessari per contrastare l’attività del virus e ridurre le eventuali conseguenze.

Barbara Bianca Rossato