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Gli sguardi della mamma aiutano il neonato a crescere meglio

La mamma come specchio per conoscere se stessi

L’autostima – riconoscere il proprio valore attraverso processi di autopercezione – si costruisce fin da piccoli. Va da sè che le figure di riferimento assumono un ruolo di responsabilità affinché si realizzi una crescita sana del bambino. Il linguaggio non verbale assume, nei primi mesi di vita del bambino, una grande importanza. Pensiamo all’insieme di gesti che caratterizzano il rapporto madre e figlio. Il piccolo può essere rassicurato grazie alle parole d’amore della mamma, ma soprattutto ristabilisce il suo equilibrio mediante il contatto fisico: il bambino viene preso in braccio, cullato, accarezzato e baciato. Prima di tutto, però, il neonato viene osservato. Si osservano i suoi movimenti, il colore della pelle. Si ascoltano i suoni che emette e si segue il suo sguardo. Pur senza l’utilizzo di parole, si crea una relazione costante tra madre e figlio orientata al benessere del piccolino.

Guardare o vedere? L’importanza di riconoscere l’altro nella relazione

Se guardare è una capacità di cui tutti sono dotati, vedere rappresenta un concetto più profondo. Vedere l’altro significa andare oltre l’apparenza, comprenderlo nei suoi bisogni e nel suo intero essere. È fondamentalmente questo che avviene tra madre e figlio.

Che cosa può fare un solo sguardo

Lo sguardo ha quindi una funzione importantissima nel legame che abbiamo col mondo e fra tutti quello che è certamente più importante per la futura identità è lo sguardo di conferma che la madre rivolge al neonato“, sosteneva Alba Marcoli nel suo libro “Il bambino arrabbiato”.

Secondo la psicologa esistevano sia sguardi capaci di trasmettere sicurezza e positività, ma anche sguardi volti ad annientare l’altro. “Lo possiamo ‘uccidere’ perchè lo vediamo in modo distruttivo, o lo possiamo svalutare perchè lo vediamo in modo costantemente critico, oppure possiamo rinforzargli il senso di colpa, guardandolo come se fossimo una vittima sacrificale e così via.

Lo sguardo e il processo di imitazione

Il bambino si riflette nella madre. Si tratta del processo di imitazione. Grazie ad esso vengono riprodotti i movimenti e gli atteggiamenti tipici del modello di riferimento. Per esempio, durante il pasto, se la madre apre la bocca anche il bambino la aprirà per accogliere il cibo.

la mamma come specchio per conoscere se stessi

Lo sguardo che genera insoddisfazione

Purtroppo non sempre questa esperienza viene soddisfatta positivamente. A causa di eventi spiacevoli lo sguardo rivolto al bambino potrebbe apparire spento, ferito, frustrato. Nascono proprio da qui le prime ferite nell’autostima dei più piccoli.

I bambini non riconosciuti, per sopravvivere, saranno costretti a cercare un’immagine positiva di sé al di fuori della relazione con i genitori. La psicologa Alba Marcoli ha descritto molto bene questa ipotesi rendendola fruibile a tutti sotto forma di favola: “La principessa prigioniera degli specchi”.

«Tanto tempo fa, in un piccolissimo regno, nacque una principessina a cui fu dato il nome di Artemisia. La principessina crebbe raccogliendo le cose che la circondavano per riempire il sacco delle sicurezze che l’avrebbe accompagnata per tutta la vita. Quando arrivò il momento di arredare l’angolo della fiducia in se stessi, quello che aiuta a capire chi siamo e a usare le nostre risorse, Artemisia cominciò a preparare il ritratto da appenderci.

Per essere sicura che le fosse fedele iniziò a chiedere a tutti: ‘Chi sono io? Che cosa so fare? È vero che sono capace di fare le cose?’. Finché non ebbe abbastanza risposte da iniziare il suo ritratto, pensato per essere interpellato ogni volta che avesse avuto bisogno di sapere chi era.

Il re e la regina cercavano di risponderle ogni volta. Non sempre ci riuscivano, perché il loro angolo della fiducia in se stessi era rimasto un po’ fragile da quando erano bambini. Non avevano abbastanza sicurezze. Inoltre, il re e la regina furono molto presi dalle loro preoccupazioni che presto non ebbero più tempo da dedicare alla principessa e alle sue esigenze.

Fu così che il ritratto iniziato dalla principessina rimase incompiuto in una cornice vuota. Lei cominciò a uscire dal castello per proseguire la sua ricerca. Artemisia prese l’abitudine di porre a tutti le stesse domande. Quando incontrava qualcuno chiedeva: ‘Chi sono io? Valgo qualcosa? Che cosa so fare?’.»

La favola di Artemisia insegna che basta poco per ferire la sensibilità altrui. Crescendo, il rischio di cercare all’esterno uno specchio in cui riflettersi è elevato. Altrettanto elevata è la possibilità di incappare in delusioni: ognuno sa come curare il proprio giardino interiore ma non quello degli altri.

mamma figlio

La favola della Principessa Artemisia si risolve positivamente. Alla fine, infatti, è lei stessa che impara a conoscersi e scopre tutte le sue potenzialità.


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Insomma, impariamo a curare noi stessi, così da prenderci cura dei più piccoli in una maniera sana e positiva.