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Gravidanza: fare troppi test non aumenta la sicurezza

Monitoraggio della gravidanza

Spesso si pensa, erroneamente, che più test ed esami vengono eseguiti in gravidanza, maggiore sarà la sicurezza; tutto ciò non è veritiero, specie perché non si possono cancellare rischi come la trombosi o l’embolia. In Ostetricia il rischio zero non esiste, poiché anche in gravidanze totalmente naturali e normali, può verificarsi l’imprevisto; quest’ultimo, in quanto tale, non è prevedibile e nemmeno prevenibile.

Mortalità in Italia ed Europa

L’Italia, insieme a Francia e Gran Bretagna, registra il più basso tasso di mortalità in gravidanza: 10 donne su 100.000. Lo standard, però, è negativo se pensiamo al numero di nascite annuali, anche rispetto a paesi molto più grandi come gli Stati Uniti. Come già detto, si studiano da anni eventi come la trombosi e l’embolia, perché sono responsabili di più della metà delle morti materne; ma come è possibile se si fanno più esami? Tutto ciò è possibile perché gli eventi avversi imprevisti non possono essere combattuti.

Allo stesso modo non è possibile pensare di sottoporre tutto le donne gravide a ogni esame possibile; tutto ciò aumenta i costi sanitari ma non migliora la salute. Tuttavia l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che l’85% delle gravidanze abbiano un iter fisiologico e che quindi nei casi di alto rischio ci sia già una diagnosi di fondo a tutela della mamma e del nascituro.

Perché fare esami non riduce i rischi?

Il rischio non può essere ridotto se non è noto, e non tutte le patologie si manifestano in tempo per essere trattate; queste, per altro, avvengono anche in gravidanze che stanno procedendo bene, richiedendo un intervento tempestivo e urgente. In più non va dimenticato che la positività degli esami eseguiti non indica necessariamente lo sviluppo di una condizione morbosa, ma solo una predisposizione o un fattore di rischio. Molte sono le future mamme a cui si somministra eparina a basso peso molecolare, solo a scopo preventivo; ma ciò non significa che la donna ha la trombofilia, ma solo che ha una positività a un test che non si esprime sul rischio reale. Infatti quando si parla di rischio, è bene identificarlo e graduarlo, per evitare che si faccia allarmismo e si inneschino ansie superflue.

Perché fare esami non riduce i rischi?

Il problema della Trombofilia

Se da un test risulta una trombofilia a basso rischio, la prescrizione terapeutica non è abbastanza; infatti, le linee guida del Royal College of Obstetricians & Gynaecologists britannico, datate aprile 2016, suggeriscono di iniziare farmaci solo se c’è almeno la presenza di altri 3 fattori di rischio. A volte, basta correggere l’eccesso di fumo in gravidanza o di peso corporeo per avere un miglioramento evidente. Inoltre la stessa eparina funziona solo nel 60-70% dei casi, lasciando scoperto un 40-30% di donne con gravidanze prive di rischi che non si possono controllare.

Una buona anamnesi migliora la gravidanza

I dati anamnestici della donna andrebbero raccolti ancora prima che avvenga il concepimento; successivamente, a inizio gravidanza, a ognuna dovrebbe corrispondere un profilo di rischio ipotetico. Donne con rischio alto hanno già avuto trombosi o interventi di chirurgia maggiore e per queste è già prevista una terapia medica di supporto alla gestazione e per le 6 settimane di post-partum. In più, proprio perché non tutte possono essere studiate, è bene stringere il campo su coloro che hanno un parente di primo grado con meno di 50 anni affetto da trombosi.