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H.I.V: quali sono i rischi in gravidanza, parto e allattamento

L’H.I.V, il virus responsabile della sindrome dell’immunodeficienza umana A.I.D.S, rappresenta una vera e propria piaga della medicina, dato che non si è ancora trovato un farmaco in grado di sconfiggerlo del tutto. La trasmissione di questo virus avviene attraverso il sangue e i rapporti sessuali quando questi determinano piccole perdite ematiche. Questo può succedere in tutti i rapporti ma sopratutto in quelli anali, più traumatici per la mucosa. Per tale motivo il tasso di malati di H.I.V. è particolarmente alto tra gli omosessuali, in alcuni continenti come l’ Africa dove manca completamente l’utilizzo del preservativo e tra gli eroinomani a causa dello scambio di siringhe infette.

Gli studi dimostrano che si può essere sieropositivi al test dell’H.I.V senza tuttavia manifestarne ancora la sindrome. In questi casi se il virus viene opportunamente trattato con farmaci retrovirali, si può tenere sotto controllo le manifestazioni cliniche. In caso contrario la sindrome dell’H.I.V, l’A.I.D.S. comporta gravi scompensi a carico delle difese immunitarie che possono portare a esiti letali.

Durante la gestazione si verifica già di per se’ un fisiologico abbassamento delle difese immunitarie, ragion per cui una gravidanza in fase conclamata di A.I.D.S peggiorerebbe in modo fatale lo stato di salute della madre. In caso di H.I.V. Senza sindrome invece la salute materna non viene compromessa.

Per quanto riguarda il rischio neonatale invece, durante la gravidanza la percentuale di trasmissione verticale dipende sopratutto dal ceppo e dalla carica virale presente nel sangue. Nel virus di tipo uno, più aggressivo, si riscontra un contagio neonatale transplacentare che varia dal 13%-14% dei casi. I rischi aumentano se sia associa all’H.I.V. altre infezioni come citomegalovirus e toxoplasma o una rottura prematura delle membrane.

Al fine di ridurre al minimo le probabilità di contagio è necessaria la terapia retrovirale e l’infusione di immunoglobuline anti H.I.V., nonché praticare una stretta sorveglianza delle condizioni cliniche della donna e del feto attraverso la cardiotocografia. Solitamente si sceglie il taglio cesareo programmato per impedire un possibile contagio del neonato nel canale del parto.

L’allattamento al seno è sconsigliato nelle donne con H.I.V in quanto si è dimostrato aumentare il contagio neonatale del 14%. Pertanto nei paesi industrializzati la scelta dell’allattamento artificiale è quella meno rischiosa per il neonato. Non vale lo stesso per i paesi sottosviluppati come l’africa dove le formule di latte artificiale non sono sicure è c’ è un altissimo tasso di morti neonatali per gastroenteriti.

Alla nascita il neonato di madre con H.I.V. alle analisi risulterà sempre sieropositivo, perché nel suo sangue sono presenti ancora gli anticorpi della mamma, ma questo non vuol dire che sia stato contagiato. Il contagio viene diagnosticato o dalle condizioni cliniche che peggiorano oppure dalle analisi del sangue ma solo dopo i 6 mesi, quando avrà espulso tutti gli anticorpi della madre.

Se un neonato presenta la manifestazione clinica del virus, in quel caso viene precocemente trattato con farmaci anti-virali e i dovuti vaccini obbligatori più avanti. Più precoce è il trattamento maggiori sono le speranze di stabilizzazione o addirittura guarigione dal virus, come è avvenuto un anno fa in America.