La toxoplasmosi in gravidanza: prevenzione e protocolli

La toxoplasmosi è un’infezione provocata da un protozoo, il toxoplasma gondiipresente nelle feci del gatto e in tutti gli ambienti contaminati da queste: nella lettiera, nella terra, sulle verdure, sull’erba e di conseguenza nella carne degli animali erbivori. Nell’adulto la patologia è innocua. Può essere accompagnata da febbre, affaticamento, adenopatia cervicale e torcicollo, ma più spesso è completamente asintomatica.

Se contratta in gravidanza invece questa patologia può essere trasmessa al feto attraverso la placenta e provocare conseguenze di varia entità. Per la prevenzione della toxoplasmosi in gravidanza bisogna sapere che il contagio nell’uomo avviene per ingestione del parassita:  più che attraverso il gatto stesso, quindi, è più probabile che la trasmissione avvenga per via indiretta, consumando verdure o carni bovine contaminate. “Il consumo di carne poco cotta è tra le principali fonti di infezione nelle donne gravide”, come sostiene il risultato di uno studio pubblicato sul Brithish Medical Journal nel 2000, che ha coinvolto vari centri in Europa (tra i quali due italiani a Napoli e a Milano).

Difatti, entrare in contatto diretto con le feci del gatto è abbastanza improbabile se rispettano le comuni norme igieniche e si evita di pulire personalmente la lettiera. A scopo preventivo non c’è alcun bisogno di disfarsi del proprio animale. Basterà evitare di baciarlo, lavarsi le mani ogni volta che lo si accarezza o che si tocca qualcosa di suo, delegare a qualcun altro la pulizia della lettiera, o indossare guanti durante questa pratica e disinfettare sempre le mani al termine di essa.

Per quanto riguarda l’alimentazione, è indispensabile evitare tutte le carni crude o poco cotte (bistecche, insaccati, carpaccio e tartara). È altresì importante preoccuparsi di lavare accuratamente tutte le verdure crude che si sceglie di consumare, magari sarebbe opportuno evitare di ordinarle al ristorante dove non è possibile controllare se siano state lavate a sufficienza.

Cosa succede se si contrae la toxoplasmosi in gravidanza? Il protocollo prevede che a tutte le donne nel I trimestre venga effettuato un esame sierologico, il complesso TORCH (che viene ripetuto poi nel II e III trimestre), attraverso il quale è possibile monitorare un eventuale esordio dell’infezione durante la gravidanza. Nel caso in cui venga riscontrato un contagio nel sangue materno, diventa necessario stabilire se ci sia stato o meno un passaggio placentare e quindi un contagio anche del feto. In ogni caso viene tempestivamente instaurata una terapia farmacologica con antibiotici mirati che è in grado di ridurre fino al 90% il rischio di trasmissione fetale.

L’amniocentesi è l’esame di diagnostica prenatale che ci permette di  confermare o escludere un’eventuale trasmissione materno-fetale della toxoplasmosi. Affinché il responso sia valido, il prelievo del liquido amniotico deve essere effettuato almeno quattro settimane dopo l’esordio dell’infezione materna e in ogni caso dopo la diciottesima settimana di gestazione.

Se dall’amniocentesi risulta esserci stata una trasmissione placentare del toxoplasma, a quel punto sarà necessario effettuare un monitoraggio ecografico ogni 15 giorni per diagnosticare la presenza o meno di eventuali danni sullo sviluppo fetale.

La gravità delle conseguenze di questa patologia non è del tutto prevedibile. In linea generale i dati statistici a nostra disposizione confermano che i danni sono tanto più gravi quanto più precoce è stata la trasmissione fetale. Prima delle 24 settimane le conseguenze di una trasmissione fetale sono gravi: aborto spontaneo, idrocefalia, ritardo mentale, epilessia e disturbi visivi fino alla cecità.

Tuttavia le percentuali di rischio di trasmissione precoce sono molto più basse. Solitamente i feti che presentano una toxoplasmosi congenita alla nascita hanno contratto la malattia al termine della gestazione e sono di solito bambini normali o presentano lievi anomalie visibili solo alle indagini strumentali.