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I rischi di aborto spontaneo: attenti all’ aspirina e ai primogeniti maschi

Durante i primi mesi della gravidanza il pericolo di un aborto spontaneo è sempre dietro l’angolo. Tra i rischi più conosciuti ci sono lo stress e le cattivi abitudini come il fumo, l’alcool e le sostanze stupefacenti. Ma recenti studi scientifici hanno dimostrato che ci sono altri fattori che potrebbero portare ad un’interruzione di gravidanza.

Se il primo ad essere concepito è un maschietto aumenta il rischio di aborto spontaneo. Questo è il dato curioso confermato da uno studio danese pubblicato sulla rivista “Hum Reprod”. Pare infatti che un embrione maschio possa talvolta scatenare nella donna una reazione immunitaria che si indirizza anche contro l’embrione successivo, specialmente se è di nuovo maschio, aumentando il rischio di poliabortività. Queste reazioni vengono bloccate infine dalla formazione di altri anticorpi, il che confermerebbe l’ipotesi di una risposta immunitaria. Dunque l’affermazione “auguri e figli maschi” andrebbe proprio rivalutata.

Altrettanto interessante è uno studio americano, pubblicato su “BMG”, secondo il quale l’utilizzo di aspirina e di altri farmaci antinfiammatori non steroidei possono aumentare dell’ 80% il rischio di aborto spontaneo, agendo sfavorevolmente sull’impianto dell’embrione in utero. Gli scienziati che hanno condotto lo studio ne sconsigliano pertanto l’utilizzo prima del concepimento o in generale per periodi prolungati.

Altre volte invece la causa è da ricercare nel padre. Uno studio americano, che è possibile consultare sempre su “Obstetrics and Gynecology” ha dimostrato come gli spermatozoi dei mariti di donne che avevano subito un aborto spontaneto avessero un numero anormale di cromosomi. E’ da sfatare quindi la credenza secondo la quale la fecondazione in vitro causi un maggior numero di aborti, proprio in virtù del fatto che con questa tecnica vengono selezionati gli spermatozoi migliori. Le tecniche di fecondazione assistita presentano le stesse percentuali di rischio di aborto delle fecondazioni naturali (10-20% e 30-40% dopo i 40 anni), con un leggero aumento di rischio se vengono impiantati embrioni criocongelati.

L’attività intima invece non è dimostrata essere un fattore di rischio. Anzi, pare, che le endorfine prodotte dal corpo materno durante l’amplesso provochino una sensazione di benessere che arriva anche al feto. Ma è risaputo che le prostaglandine contenute nel liquido seminale esercitano una azione contrattile sull’utero, dunque sarebbe più opportuno optare per l’utilizzo del profilattico o per un coitus interruptus.